LA NON VIOLENZA E IL NOSTRO COMUNISMO

 LA NON VIOLENZA E IL NOSTRO COMUNISMO

La non violenza non è il contrario della violenza. Allo stesso modo per cui affermiamo che la pace, quella positiva, fondata sulla giustizia, non è, solo, una prassi, una tattica, una modalità che possono scegliere i movimenti politici di trasformazione della società a seconda delle opportunità con cui la storia si presenta a noi. La non violenza, almeno dentro alcune teorie generali, gandehiane, ma non solo, pensiamo ai neri d'America, alla teologia della liberazione, allude a un'idea politica complessiva del potere che chiama in causa strutture, istituzioni, rapporti sociali, sistemi di valori, culture, coscienza di sé, comportamenti. Ed è un'idea di società alla radice inconciliabile con l'attuale, affatto diversa da quella capitalistica perché ne mette in discussione la costruzione ideologico-giuridica principale: la separazione tra individuo e società, tra etica e politica, tra etica della coscienza ed etica della responsabilità (per citare Bobbio), tra libertà e potere (Capitini).

Quando si dice che "i mezzi stanno ai fini come il seme all'albero", si demolisce il pensiero occidentale che regge le istituzioni capitalistiche, dall'impresa allo Stato, da secoli. Almeno che non si pensi che la guerra, la divisione della società in classi, la depredazione delle risorse naturali siano accidenti indesiderati, effetti collaterali emendabili, così che sia possibile "mettere al servizio" di altri scopi le modalità di produzione, la scienza, la tecnica, lo sviluppo della potenza sociale delle forze produttive. La violenza dell'uomo sull'uomo, sulla donna, sulla natura rimane l'elemento inevitabilmente costitutivo e ordinatore dei rapporti di produzione e di potere, quindi sociali, capitalistici. In questo senso la non violenza va certamente oltre il pacifismo. Allude a una società di liberi ed eguali, una democrazia sostanziale di comunità capaci di auto organizzarsi al proprio interno e di rapportarsi secondo alcuni schemi di cooperazione e di reciprocità all'esterno.

L'azione non violenta, la disubbidienza, la non collaborazione, il boicottaggio, l'obiezione, l'interposizione, la mutualità e le mille e mille forme individuali e collettive con cui ci si può opporre all'avversario, sciogliere i fili del comando, sottrarsi alle sue leggi, destrutturare poteri e colpire i suoi interessi economici, quando è davvero efficace, costruisce rapporti umani e solidarietà sociale la cui bontà e convenienza sono immediatamente dimostrabili. Istanza etica e azione politica si identificano. Rottura e innovazione dei rapporti sociali procedono di pari passo. Organizzazione (mandato) e rappresentanza (delega) non si separano.

Non mi pare che tutto ciò possa contraddire in alcun modo l'idea che abbiamo noi di comunismo. Al contrario, penso, possa consentire di rimetterla in marcia, qui e ora, sulle gambe e con il fiato di molte più persone, di tanti giovani e, soprattutto, di donne. Mi sono chiesto, allora, cos'è che, da sempre, fa scattare tanta diffidenza, se non persino avversione all'idea di lotta non violenta in molti teorici e attivisti della sinistra rivoluzionaria? Penso sia la convinzione che la non violenza sia un inganno. Per due motivi: uno dettato dal pessimismo verso l'ipotesi che sia possibile dispiegare a livello di massa una tale consapevolezza individuale capace di reggere conflitti non violenti di grande intensità, nonostante e più di Genova, Cancun, il 15 Febbraio, ma non dimentichiamoci ciò che è stato, anche prima, Comiso e il nucleare, ad esempio. Il secondo, dettato da una incrollabile certezza sul fatto che prima o poi, comunque, il sistema è destinato a implodere e potrebbe essere necessario il ricorso alla lotta armata, nelle varie forme che abbiamo visto guerriglie di resistenza e di liberazione conosciuto e che la storia ha reso necessarie (guerre di popolo anticolonialiste, guerriglie di resistenza e di liberazione, insurrezioni). La scelta della non violenza ci precluderebbe una possibile via di salvezza e uscita.

Insomma torna la questione della inefficacia del pacifismo non violento. Problema che giudico di difficile, se non impossibile soluzione a tavolino. Si possono solo fare delle valutazioni molto soggettive sul piano storico e tentare di trarre qualche insegnamento. Se mi fosse consentito di togliermi dall'impiccio con una battuta, direi che sono finiti crocefissi sia Cristo che Spartaco, o che sia l'India che la Russia sono state costrette a strisciare nella periferia dell'impero. Ciò che ritengo sicuramente obbligatorio per una forza politica è compiere delle valutazioni pragmatiche, ora e per il futuro, facendosi guidare dall'unico criterio di valutazione possibile in politica: scegliere ciò che permette di attivare il più grande numero di energie sociali lungo un percorso di trasformazione, scegliendo le modalità più coerenti e convincenti, più innovative e più partecipate, capaci di mostrare già ora quale è la società che vogliamo domani, almeno sotto il profilo delle regole politiche che devono intercorrere tra di noi.

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categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe. 



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