IL CERCHIO DA CHIUDERE
LUNEDÌ, 26 APRILE 2010
IL CERCHIO DA CHIUDERE
Viviamo un momento storico caratterizzato da un’enorme
potenza tecnologica e da un’estrema miseria umana. La potenza della tecnologia
si autoevidenzia in modo penoso nel numero di megawatt delle centrali
elettriche e nei megatoni delle bombe nucleari. La miseria dell’uomo si
evidenzia nel pauroso numero di persone che già esistono e che presto
nasceranno, nel deterioramento del loro habitat, la terra, e nella tragica
epidemia, su scala planetario, della fame e della povertà. La frattura tra il
potere brutale e l’indigenza umana continua ad allargarsi, dal momento che il
potere si ingrassa su quella stessa tecnologia sbagliata che acuisce
l’indigenza. La crisi ambientale è il segno sinistro di un inganno insidioso
che sta nascosto nella tanto decantata produttività e nella ricchezza della
moderna società basata sulla tecnologia. Questa ricchezza è stata guadagnata
con uno sfruttamento rapido a breve termine, del sistema ambientale, ma ha
contratto ciecamente un debito sempre più grande con la natura, sotto forma di
distruzione ambientale nei paesi sviluppati e di pressione demografica in
quelli in via di sviluppo; un debito così vasto e così diffuso che entro la
prossima generazione potrà, se non pagato, cancellare la maggior parte della
ricchezza che ci ha procurato. In effetti i registri contabili della società
moderna sono in drastico passivo, tanto che, per lo più inavvertitamente, una
grossa frode è stata perpetrata a danno della popolazione mondiale. La
situazione di rapido peggioramento dell’inquinamento ambientale ci ammonisce
che la bolla sta per scoppiare, che la richiesta di pagamento del debito
globale può sorprendere il mondo in bancarotta. Per risolvere la crisi
ambientale, dovremmo rinunciare, come minimo, al lusso di tollerare la povertà,
la discriminazione razziale e la guerra. Nella nostra marcia involontaria verso
il suicidio ecologico abbiamo completamente perso le nostre facoltà di scelta.
Ora che è stato presentato il conto, le nostre scelte si sono ridotte a due: o
l’organizzazione razionale, su basi sociali, dell’uso e della distribuzione
delle risorse della terra o un nuovo genere di barbarie. Una delle reazioni più
frequenti all’esposizione dei mali ambientali del mondo è un profondo
pessimismo, probabilmente la conseguenza naturale della scioccante presa di
coscienza che il tanto vantato “progresso” della moderna civiltà è solo una
sottile copertura della catastrofe globale. Io sono invece convinto che, una
volta superata la pura consapevolezza del disastro imminente e realizzato il
perchè siamo arrivati alla situazione attuale, e quali strade alternative
possano portarcene fuori, c’è motivo di individuare nello stesso abisso della
crisi ambientale una fonte di ottimismo. Un altro motivo di ottimismo lo vedo
nella natura stessa della crisi dell’ambiente. La quale non è il prodotto delle
capacità “biologiche” dell’uomo, che non potrebbe modificarsi in tempo per
darci la salvezza, ma anche delle sue azioni sociali soggette a un cambiamento
molto più rapido. Dal momento che la crisi ambientale è il risultato di una
cattiva pianificazione e conduzione sociale delle risorse mondiali, il problema
può essere risolto e l’uomo può sopravvivere in una condizione umana se la sua
organizzazione sociale viene portata in armonia con l’ecosfera. Possiamo qui
ricavare una lezione fondamentale dalla natura: niente può sopravvivere sul
pianeta se non diventa parte cooperativa di un tutto più vasto e globale. La
vita stessa ha imparato questa lezione alle origini della terra. Non
dimentichiamo infatti che i primi esseri viventi, come l’uomo moderno,
consumavano la loro base nutritiva man mano che crescevano, trasformando la
riserva geochimica di materia organica in rifiuti che non potevano servire ai
loro bisogni. La vita, così come apparve per la prima volta sulla terra, si era
avviata per un cammino lineare autodistruttivo. La salvò dall’estinzione
l’invenzione, nell’arco evolutivo, di una nuova forma di vita che riconvertiva
i rifiuti degli organismi primitivi in materia organica fresca. I primi
organismi fotosintetici trasformarono l’avido evolversi lineare della vita nel
primo, grande ciclo ecologico terrestre. Chiudendo il cerchio essi ottennero
quello che nessun organismo vivente, da solo, può realizzare: la sopravvivenza.
Gli esseri umani hanno spezzato il cerchio della vita, spinti non da necessità
biologiche ma da un’organizzazione sociale che hanno progettato per
“conquistare” la natura: strumento per acquisire ricchezze governato da
esigenze in conflitto con quelle che regolano la natura. Il risultato ultimo è
la crisi ambientale, una crisi di sopravvivenza. Una volta ancora, per
sopravvivere, dobbiamo chiudere il cerchio. Dobbiamo imparare a restituire alla
natura la ricchezza che le chiediamo in prestito. Questo è però un compito che spetta
alla storia stessa, poiché un cambiamento sociale rivoluzionario può essere
forgiato soltanto nell’officina dell’azione sociale collettiva, razionale,
informata. Che si debba agire è ora chiaro; “come”, è il problema da risolvere.
INDOVINA L’ INDOVINELLO:
DI CHI E DI CHI ANNO E’
QUESTO SCRITTO?
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