DIMENSIONE

sabato, 14 aprile 2012

DIMENSIONE

È certo che una situazione simile sarebbe un incubo insopportabile. Mentre la gente può sopportare la produzione continua di armi nucleari, di pioggia radioattiva, e di alimenti discutibili, essa non può (proprio per questa ragione!) tollerare di essere privata del trattenimento e dell’educazione che la rende capace di riprodurre i meccanismi predisposti per la sua difesa o per la sua distruzione. L’arresto della televisione e degli altri media che l’affiancano potrebbe quindi contribuire a provocare ciò che le contraddizioni inerenti del capitalismo non provocarono – la disintegrazione del sistema. La creazione di bisogni repressivi è diventata da lungo tempo parte del lavoro socialmente necessario – necessario nel senso che senza di esso il modo stabilito di produzione non potrebbe reggersi. Qui non sono in gioco né problemi di psicologia né problemi di estetica, ma piuttosto la base materiale del dominio. Nell’impossibilità di indicare in concreto quali agenti ed enti di mutamento sociale sono disponibili, la critica è costretta ad arretrare verso un alto livello di astrazione. Non v’è alcun terreno su cui la teoria e la pratica, il pensiero e l’azione si incontrino. Persino l’analisi strettamente empirica delle alternative storiche sembra essere una speculazione irrealistica, e il farle proprie sembra essere un fatto di preferenza personale (o di gruppo). Ma l’assenza di agenti di mutamento confuta forse la teoria? Dinanzi a fatti apparentemente contraddittori, l’analisi critica continua ad insistere che il bisogno di un mutamento qualitativo non è mai stato così urgente. Ma chi ne ha bisogno? La risposta è pur sempre la stessa: è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri. L’unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione; la politica condotta sull’orlo dell’annientamento; la resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti costituiscono la più imparziale delle accuse, anche se non sono la raison d’être di questa società ma solamente il suo sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di sviluppo, è essa stessa irrazionale. Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di “distribuire dei beni” su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo. Posto dinanzi al carattere totale delle realizzazioni della società industriale avanzata, la teoria critica si trova priva di argomenti razionali per trascendere la società stessa. Il vuoto giunge a svuotare la stessa struttura della teoria, posto che le categorie di una teoria sociale critica sono state sviluppate nel periodo in cui il bisogno di respingere e sovvertire era incorporato nell’azione di forze sociali efficaci. Tali categorie erano in essenza dei concetti negativi, dei concetti d’opposizione, i quali definivano le contraddizioni realmente esistenti nella società europea dell’Ottocento. Perfino la categoria ‘’società” esprimeva l’acuto conflitto esistente tra la sfera sociale e quella politica – la società era antagonista rispetto allo Stato. Del pari, termini come individuo, classe, privato, famiglia, denotavano sfere e forze non ancora integrate con le condizioni vigenti, erano sfere di tensione e di contraddizione. Con la crescente integrazione della società industriale, queste categorie vanno perdendo la loro connotazione critica e tendono a diventare termini descrittivi, ingannevoli od operativi. Un tentativo di riprendere l’intento critico di queste categorie, e di comprendere come l’intento sia stato soppresso dalla realtà sociale, si configura in partenza come una regressione da una teoria congiunta con la pratica storica ad un pensiero astratto, speculativo: dalla critica dell’economia politica alla filosofia. Tale carattere ideologico della critica deriva dal fatto che l’analisi è costretta a procedere da una posizione “esterna” rispetto alla tendenze positive come a quelle negative, alle tendenze produttive come a quelle distruttive nella società. La società industriale moderna rappresenta l’identità diffusa di questi opposti – è il tutto che è in questione. Al tempo stesso la teoria non può assumere una posizione meramente speculativa; deve essere una posizione storica, nel senso che deve essere fondata sulle capacità di una data società. Questa situazione ambigua implica una ambiguità ancora più fondamentale.

L’uomo a una dimensione oscillerà da capo a fondo tra due ipotesi contraddittorie: 1) che la società industriale avanzata sia capace di reprimere ogni mutamento qualitativo per il futuro che si può prevedere; 2) che esistano oggi forze e tendenze capaci di interrompere tale operazione repressiva e fare esplodere la società. Io non credo si possa dare una risposta netta; ambedue le tendenze sono tra noi, fianco a fianco, ed anzi avviene che una includa l’altra. La prima tendenza predomina e qualsiasi condizione possa darsi per rovesciare la situazione viene usata per impedire che ciò avvenga. La situazione potrebbe essere modificata da un incidente, ma, a meno che il riconoscimento di quanto viene fatto e di quanto viene impedito sovverta la coscienza e il comportamento dell’uomo, nemmeno una catastrofe produrrà il mutamento. La razionalità scientifica non è un sapere neutro. A mo’ di sommario, possiamo ora cercare di identificare più chiaramente il soggetto occulto della razionalità scientifica ed i fini nascosti nella sua forma pura. Il concetto scientifico di una natura universalmente controllabile configurò la natura come materia-in-funzione senza fine, mero oggetto di teoria e di pratica. In questa forma, il mondo-oggetto entrò a far parte della costruzione di un universo tecnologico – un universo di strumenti mentali e fisici, di mezzi in sé. Si tratta quindi di un sistema veramente “ipotetico”, che dipende da un soggetto verificante e validante. I processi di validazione e di verifica possono essere puramente teorici ma non avvengono mai nel vuoto, e mai hanno termine in una mente privata, individuale. Il sistema ipotetico di forme e funzioni viene a dipendere da un altro sistema – un universo di scopi prestabilito, nel quale e per il quale esso si sviluppa. Ciò che appariva estraneo, alieno al progetto teoretico, si mostra come parte della sua stessa struttura (metodo e concetti); l’oggettività pura si rivela quale oggetto per una soggettività che provvede il Telos, i fini. Nella costruzione della realtà tecnologica non c’è nulla di simile ad un ordine scientifico puramente razionale; il processo della razionalità tecnologica è un processo politico. Soltanto nel medium della tecnologia l’uomo e la natura diventano oggetti fungibili di un’organizzazione. L’efficacia e la produttività universali dell’apparato nel quale essi sono inclusi occultano gli interessi particolari che organizzano l’apparato. In altre parole, la tecnologia è diventata il maggior veicolo di reificazione – di reificazione nella sua forma più matura ed efficace. Non soltanto la posizione sociale dell’individuo e la sua relazione con gli altri appaiono determinate da qualità e da leggi oggettive, ma queste sembrano perdere il loro carattere misterioso ed incontrollabile, e appaiono come manifestazioni calcolabili della razionalità (scientifica). Il mondo tende a diventare materia di amministrazione totale, che assorbe in sé anche gli amministratori. La tela di ragno del dominio è diventata la tela della ragione stessa, e la società presente è fatalmente invischiata in essa. Ed i modi trascendenti del pensiero appaiono trascendere la stessa ragione. In queste condizioni, il pensiero scientifico (scientifico nel senso più lato, in quanto opposto al pensiero confuso, metafisico, emotivo ed illogico) assume, al di fuori delle scienze fisiche, la veste di un formalismo puro e in sé conchiuso (simbolismo) da un lato, e dall’altro lato quella di un empirismo totale. (Il contrasto non è un conflitto. Si osservi l’applicazione empirica della matematica e della logica simbolica nelle industrie elettroniche). In relazione all’universo stabilito di discorso e di comportamento, la non-contraddizione e la non-trascendenza sono il denominatore comune. L’empirismo totale rivela la sua funzione ideologica nella filosofia contemporanea. La speranza è nei giovani. Il vecchio detto americano “sediamoci a ragionare” è giustamente diventato una battuta. È possibile ragionare con il Pentagono di qualcosa che non sia l’efficienza relativa delle macchine per uccidere e il loro prezzo? Il ministro degli interni può ben ragionare con il ministro e con i suoi consiglieri, e tutti insieme con i membri del consiglio delle grandi industrie. Ma è un ragionare incestuoso, perché sono tutti d’accordo sul punto fondamentale: il rafforzamento della struttura del potere costituito. Pensare di ragionare “dall’esterno” di questa struttura è ingenuo. Loro staranno a sentire solo nella misura in cui le voci si possono tradurre in voti, che forse potranno mettere sul cadreghino un altro gruppo della stessa struttura che ha lo stesso interesse di base. È un argomento schiacciante. Bertolt Brecht osservava che viviamo in un tempo in cui parlare di un albero sembra un delitto, e da allora le cose sono peggiorate. Oggi sembra un crimine il solo parlare di cambiamenti, mentre la società si sta trasformando in una istituzione di violenza, e in Asia sta compiendosi il genocidio iniziato con l’eliminazione degli indiani d’America. Il semplice potere di questa brutalità non è forse invulnerabile alle parole, pronunciate o scritte, che lo mettono sotto accusa? E le parole dirette contro chi pratica questo potere non sono forse le stesse che vengono usate in sua difesa? Vi è un livello a cui sembra giustificata anche l’azione assurda: l’azione infatti colpisce, anche se solo per un momento, l’universo chiuso dell’oppressione. Il sistema ha in sé il meccanismo dell’escalation e se non la si ferma in tempo essa accelera la controrivoluzione. Eppure anche in questo sistema vi è un tempo per le parole e un tempo per l’azione, tempi scanditi (segnati) dallo schieramento concreto delle forze sociali. Dove manca l’azione rivoluzionaria di massa e la sinistra è tanto più debole, le sue azioni devono autolimitarsi. Ciò che alla ribellione è imposto dalla repressione sempre più dura e dalle forze distruttive sempre più concentrate nelle mani della struttura di potere, deve diventare il terreno su cui ricomporsi e impostare le nuove analisi. Occorre sviluppare strategie adatte a combattere la controrivoluzione. Il risultato della lotta dipenderà in larga misura dalla capacità dei giovani, non di integrarsi né di escludersi dalla società, ma di imparare a ricomporsi dopo la sconfitta, a sviluppare una nuova razionalità insieme con la nuova sensibilità, a reggere il lungo processo educativo – indispensabile condizione per il passaggio a un’azione politica di vasta portata. La prossima rivoluzione terrà infatti occupate generazioni e generazioni, e la “crisi finale del capitalismo” potrà durare anche un secolo. (Meditazione su L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse).

 A   L   B   E   R   O
Rumore di foglie
secche
cadute dall’albero
ormai spoglio.
Nudo
al freddo inverno
le sue radici
nasconde nella terra.
Come morto
non sente
né vento né gelo
né le leggere zampe
di un passerotto
che cerca il fogliame verde.
-Renzo   Mazzetti-


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