UN PIATTO GARIBALDINO
SABATO, 22 MAGGIO 2010
UN PIATTO GARIBALDINO
Dopo la leggendaria campagna dei Mille tutto l’affetto e
tutta l’ammirazione del popolo italiano si riversarono su Garibaldi e i suoi
garibaldini. Fiorì anche una iconografia popolare che esaltava in mille guise
la figura dell’Eroe e dei suoi compagni. Tutto questo diede ai nervi ai
reazionari e ai monarchici, i quali cercarono di rispondere con gli insulti e
le calunnie più volgari, mentre il governo, presieduto da Cavour che aveva
visto a malincuore il buon successo della spedizione, cercava di vendicarsi
rendendo difficile e umiliante l’entrata degli ufficiali garibaldini
nell’esercito regolare. Ciò che diede origine ad una serie di scontri, sia al
Parlamento che nella stampa, fra Garibaldi e Cavour e fra Garibaldi e i
generali monarchici Cialdini e Fanti. Fu in questo clima che a Parma, sul
finire del 1861, accadde un fatto increscioso, provocato dalla faziosità e
dall’intolleranza degli ufficiali monarchici. Era allora di guarnigione nella
città emiliana il reggimento di cavalleria Montebello, i cui ufficiali, quasi
tutti aristocratici, prendevano i pasti nell’elegante Albergo della Posta. Uno
di costoro, il duca Sforza Cesarini, appartenente a una famiglia della nobiltà
clericale romana, si vide portare un piatto con sopra l’effige di Garibaldi.
Apriti cielo! Immediatamente da buon reazionario clericale anti-patriottico
quale egli era, prese il piatto e lo scaraventò dalla finestra. Un cameriere si
rivoltò contro lo stupido oltraggio, la lite divenne clamorosa e l’eco ne
giunse fin sulla piazza. Ecco allora gruppi di popolani accorrere e assediare
l’albergo, domandando la punizione del villano aristocratico. Invano il
colonnello uscì sul balcone domandando perdono per il colpevole e cercando di
calmare la folla. Le cose si sarebbero messe male, tanto che anche in altre
località di Parma avvenivano urti fra ufficiali e popolani, se il giorno dopo
non fosse giunto dal governo spaventato l’ordine al reggimento di liberare
dalla sua presenza la generosa e patriottica città! Gli avvenimenti di Parma
furono conosciuti con estrema rapidità in tutta Italia, sollevando
l’indignazione di tutti i patrioti. Uno di costoro, l’ex ufficiale di
cavalleria Antonio Riboli, che aveva combattuto eroicamente in Sicilia con
Garibaldi, distinguendosi a Milazzo mandò subito una sfida a quegli ufficiali
del reggimento Montebello che avevano preso parte al gesto di oltraggio. Il
duca Sforza Cesarini, convinto di poter avere la meglio sul combattente
popolano, accettò subito la sfida ed il duello ebbe luogo presso Alessandria;
le cose però non andarono come l’aristocratico aveva creduto; egli infatti
buscò vari colpi di sciabola e fu seriamente ferito. Gli subentrò otto giorni
dopo, il tenente piemontese, conte San Martino d’Aglié e di Valprato, che fu
anch’egli toccato gravemente al polso. I reazionari sparsero allora la voce che
il Riboli era uno spadaccino di professione, scelto apposta per sterminare i
poveri ufficiali monarchici. Sdegnato di questa nuova infamia il Riboli, quando
si presentò il terzo avversario, capitano conte Canera di Salasco, notissimo
come tiratore di pistola, lasciò a quest’ultimo la scelta dell’arma. Il Canera
di Salasco scelse naturalmente la pistola, ma non se la cavò ugualmente perché
il Riboli lo colpì con una pallottola, che attraversò il braccio e si ficcò nel
petto, riducendolo in fin di vita. Il governo, che fino a quel momento era
stato zitto, quando vide che le cose si mettevano male per i suoi, intervenne,
minacciando d’arresto il Riboli, che dovette riparare in Svizzera. E così ebbe
termine l’epidemia dei duelli.
Da Garibaldi buttato via, Il calendario del popolo, marzo
1951.
IL VESTITO DELL’AVVENIRE
Modello di vestito
che si allunga e si allarga
all’infinito.
Non perde bottoni,
non ragna sui calzoni,
esente da macchie e da strappi,
s’indossa all’asilo
e cresce un po’ per anno
senza perdere un filo.
I sarti si prevede
che lo sconsiglieranno.
Chiederanno al governo
qualche decreto drastico
contro il vestito elastico
che dura in eterno.
Con o senza permesso,
io lo invento lo stesso.
-Gianni Rodari-
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