I DUE PASSEROTTI
GIOVEDÌ, 22 APRILE 2010
I DUE PASSEROTTI
Carissima Tania, ti racconterò la storia dei miei
passerotti. Devi dunque sapere che ho un passerotto e che ne ho avuto un altro
che è morto, credo avvelenato da qualche insetto ( una blatta o un millepiedi
). Il primo passerotto era molto più simpatico dell’attuale. Era molto fiero e
di una grande vivacità. L’attuale è modestissimo, di animo servile e senza iniziativa.
Il primo divenne subito padrone della cella. Conquistava tutte le cime
esistenti nella cella e quindi si assideva per qualche minuto ad assaporare la
sublime pace. Salire sul tappo di una bottiglietta di tamarindo era il suo
perpetuo assillo: e per ciò una volta cadde in un recipiente pieno di rifiuti
della caffettiera e fu lì lì per affogare. Ciò che mi piaceva di questo passero
è che non voleva essere toccato. Si rivoltava ferocemente, con le ali spiegate
e beccava la mano con grande energia. Si era addomesticato, ma senza permettere
troppe confidenze. Il curioso era che la sua relativa familiarità non fu
graduale, ma improvvisa. Si muoveva per la cella, ma sempre nell’estremo
opposto a me. Per attirarlo gli offrivo una mosca in una scatoletta di fiammiferi;
non la prendeva se non quando io ero lontano. Una volta invece di una, nella
scatoletta erano cinque o sei mosche; prima di mangiare danzò freneticamente
intorno per qualche secondo; la danza fu ripetuta sempre per le mosche
numerose. Un mattino, rientrando dal passeggio, mi trovai il passero
vicinissimo; non si staccò più, nel senso che da allora mi stava sempre vicino,
guardandomi attentamente e venendo ogni tanto a beccarmi le scarpe per farsi
dare qualcosa. Ma non si lasciò mai prendere in mano, senza rivoltarsi e
cercare subito di scappare. E’ morto lentamente, cioè ha avuto un colpo
improvviso di sera, mentre era accovacciato sotto il tavolino, ha strillato
proprio come un bambino, ma è morto solo il giorno dopo: era paralizzato dal
lato dentro e si trascinava penosamente per mangiare e bere, poi di colpo morì.
L’attuale passero, invece, è di una domesticità nauseante; vuole essere
imbeccato, quantunque mangi da sé benissimo; viene sulla scarpa e si mette
nella piega dei calzoni; se avesse le ali intere volerebbe sul ginocchio; si
vede che vuol farlo perché si allunga, freme, poi va sulla scarpa. Penso che
morirà anch’esso, perché ha l’abitudine di mangiare le capocchie bruciate dei
fiammiferi, oltre al fatto che il mangiare sempre pane molle deve procurare a
questi uccellini dei disturbi mortali. Per adesso è abbastanza sano, ma non è
vivace; non corre, sta sempre vicino e si è già involontariamente preso alcune
pedate. Questa la storia dei miei passerini. Ti abbraccio teneramente. ANTONIO.
(L’Albero del Riccio, Antonio Gramsci, Milano-sera editrice,1948)
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