VANGELO!
04 dicembre 2009
VANGELO!
La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha detto «no» al
crocifisso in classe, pronunciandosi sul ricorso di una cittadina italiana. Si
è subito scatenato il putiferio. In Italia la laicità è un obiettivo ancora
lontano. Questo non deve indurre allo scoraggiamento. Deve anzi suscitare una
spinta a lavorare con più lena perché la cultura della laicità divenga sentire
comune. Finché la religione cattolica era l’unica religione dello stato si
poteva ancora sostenere che l’esibizione pubblica del crocifisso corrispondesse
all’interesse pubblico. Ma oggi, dopo gli Accordi del 1984, la religione
cattolica non è più la sola religione dello stato. Quindi i simboli religiosi,
tutti i simboli religiosi, anche quelli della spiritualità o della fede laica,
hanno uguale dignità. Le leggi e chi le interpreta devono adeguarsi di diritto
e di fatto.
Ma è proprio vero che il crocifisso ha un valore universale e
che è la bandiera dell’identità italiana? Che tutti i cittadini, di qualsiasi
religione o credo, possono e devono accettare? Ma allora com’è che Costantino
ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha
vinto? Com’è che da quel momento la croce è trionfo e vittoria? E’ vero che poi
Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non però la
sostanza del supplizio. Ha continuato a sacrificare innocenti con altri
strumenti avvalendosi della protezione della croce. Si potrebbe continuare sul
filo della storia, dalla croce indossata dai crociati alla croce brandita dai
conquistatori, usata per accendere i roghi di eretici e streghe, fino alla
croce sui simboli di partito e alla croce che s’insinua negli attuali arsenali
militari.
Lo so bene che la croce ha alimentato anche la speranza del
riscatto storico degli oppressi, la loro lotta e le loro rivoluzioni. Ma per lo
più ciò è stato considerato una eresia. In realtà ogni volta che il
cristianesimo si è aperto e legato ai movimenti storici che puntavano al
riscatto dei poveri e degli oppressi, qui in terra e non solo in cielo, ha
subito feroci repressioni. Contro quel cristianesimo ribelle puntualmente si
sono accesi i roghi fisici o morali. Fino all’attuale allontanamento di don
Alessandro Santoro dalla Comunità delle Piagge di Firenze. Non risulta per
niente vero che è consentito vedere nella croce il simbolo della prevalenza
dell’amore sul potere, come sostiene un teologo alla moda come Vito Mancuso (la
Repubblica di ieri 4 novembre). Tutti i movimenti popolari rivoluzionari
animati dal Vangelo che hanno visto nella croce il segno della liberazione
storica e non solo della redenzione sacrificale trascendente sono stati
repressi spesso nel sangue. Quante croci della teologia della liberazione sono
state abbattute e calpestate dai crociati della croce esibita come trionfo! La
croce si può anzi si deve esporre solo in quanto è segno del potere.
Non per nulla “meno croce e più Vangelo” valeva anche nella
scuola di Barbiana da dove don Milani aveva tolto il crocifisso.
Meno croce e più Vangelo valeva per un cattolico come Mario
Gozzini, il senatore della legge sulla carcerazione, il quale nel 1988 scrisse
sull’Unità due forti articoli di critica verso i difensori dell’ostensione
pubblica della croce. E vale oggi per tante esperienze di fede cristiana aperte
al globalismo dei diritti e alla pace, vale per le comunità di base, vale per
tante oscure parrocchie e associazioni, vale per i valdesi. Il problema è che
il sistema dei media non ne dà notizia. Le suggestioni di Gozzini sarebbero da
rileggere oggi, tanto sono attuali. Egli da fine politico e da buon legislatore
fa la proposta di “uno strumento che impegnasse il presidente del Consiglio a
studiare e compiere i passi opportuni per ottenere, dalla Conferenza
episcopale, l’assenso a togliere di mezzo un segno diventato, quantomeno,
equivoco … Ci vorrà tempo e pazienza – conclude Gozzini – ma ho speranza che
alla fine la ragione e l’autentica coscienza cristiana (quella che bada a
Cristo più che ai patrimoni storici) avranno la meglio”. La speranza di Gozzini
è sempre più la nostra speranza.
-Enzo Mazzi, 6 novembre 2009, il manifesto-
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