ITALIA ALTO PAESE

ITALIA ALTO PAESE



ITALIA ALTO PAESE

(Ricordo da un racconto di Foresto e la Gazzetta del Barbiere)

La televisione trasmetteva Trump. Nella bottega si scatenò una grande confusione. Ascanio spense il televisore perché tutti non ascoltavano perché commentavano molto incazzati. Nella confusione per le insensate parole, Ascanio apre la Gazzetta del Barbiere e legge: Mia Italia ancor più t’amo, or che scoprendoti vo per tutte le tue strade, e non più soltanto la lor bellezza, ma nostra gente Italia. La voce di Ascanio sovrasta tutte le altre e tutti smettono di parlarsi addosso e ascoltano. Ascanio alza gli occhi e risponde alle mute domande, e perciò prosegue: Mia Italia un dì, questo è il titolo della poesia che Sibilla Aleramo dedica a Palmiro Togliatti. Nedo gli dice di continuare. Nulla c’importa di Trump e Meloni esclama Gabrio. Mauro e altri invitano Ascanio a continuare. Ascanio riprende: per quella parte di nostra gente, ch’è la maggiore e la più fiera e viva, (oh remota mia fanciullezza, pur sin d’allora io ebbi sin d’allora, la visione prima dell’umanità al lavoro, rosse membra dinnanzi a vampanti forni, gravi occhi or teneri or ironici, nei miei di bimba attoniti e reverenti) / or più consapevolmente t’amo Italia, per tutta quella parte di nostra gente, che i tuoi campi ara e per altrui miete, sotto terra scende tante ore al dì in periglio, telai maneggia e torchi e macchine e martell, martellante vita nostra gente Italia, mentre nel sole le pietre antiche e le lagune, palpitano e i golfi e le verzure / Mia Italia ancor più t’amo, di quando contemplarti era facile e dolce, e a tutte del mondo le tue piaghe preferivo, sinanche a quelle dell’Ellade con le sue vestigia di perfezione, e non soltanto perché qui son nata, Italia mia patria mia patria, e sognante andavo fra sponde e boschi e città, e di nostro genio l’eterno fiore / dipinte mura e navate sin nei più riposti borghi, scolpiti i condottieri le vergini i putti / alte campane nel cielo e vessilli / palagi comunali e castella ducali / oh Ravenna oh Siena oh Monreale / poi ancora incanto del travertino incrostato d’alghe / vallate ove tutta la soavità della terra si veste di viola / cime di ghiaccio a sera incandescenti / Come tra sogni andavo attraverso gli anni / per tante tue strade Italia amandoti / ma solo ora in questa che dico ed è sera di mia vita / ora solo scoprendo vo nostra grande gente Italia / nelle officine enormi dalle brevi segle / Fiat Ilva fra paurosi rombi / E alla Terni e nella valdostana Cogne / nei cantieri genovesi e nei livornesi / nelle vetrerie gloriose di Murano / nelle manifatture di Biella e di Prato / o giù nelle miniere del Valdarno / e in quelle di Sardegna terra dal grave cuore / E fra le donne nelle risaie lombarde / e fra le liguri raccoglitrici d’olive e fiori / e fra le artigiane che a Valenza incidon l’oro / e fra i braccianti in Emilia e nelle padane nebbie / e i portuali d’Ancona e i portuali di Trieste / e gli zolfatari siculi e i boscaioli maremmani / e ovunque muratori pescatori sterratori / e tipografi e tranvieri e ferrovieri. Oh lista umile e senz’enfasi di milioni di braccia / milioni e milioni di braccia lavoratrici / Penisola e Isole sorrette da queste braccia / oh lista umile e possente di braccia che ti fan vivere Italia. E una sera mi svelò di quella tremenda forza / il segreto insospettato lume, fu nell’industre toscana Empoli / raccolte nella Civica Biblioteca persone di cultura / e frammisti con mio stupore uomini di fatica rudi volti / ascoltavano versi miei d’amore e di dolore / potevan mai interessarli mi chiedevo timorosa / e vidi i loro occhi farsi lustri di pianto / indi mi circondarono appassionati frementi / era il popolo il popolo assetato di poesia / quello stesso che da secoli nelle silenti praterie / le musicali favole si tramanda d’Orlando e di Clorinda / non lo inaridisce la fabbrica né l’assordante urbe / vo ravvisandolo in cento altri luoghi / da Siracusa a Sesto San Giovanni da Foligno a Omegna / Omegna partigiana col giovine suo Sindaco operaio / tutti diversi e tutti pari in nativa gentilezza / parlino essi la lingua di Dante o di quel Belli o del Porta / pari tutti in percezione rapida esatta / oh mirabile acutezza nel chiederti schiarimenti / e mai stanchi mai distratti la fronte ti fissano / qwuasi a carpirne il mistero che li tien avvinti / e vecchie donne ti baciano e ti dicono di ritornare / e che non dimenticheranno dicono e le credi / e una volta una giovine diede in singhiozzi / sulla spalla di una compagna mentr’io ripartivo / scendeva tranquilla su Civitacastellana la sera / nel semplice cuore un tumulto lasciavo di speranza / e un’altra sopra a tutte ineffabile rammento / vasto spazio erboso al Sanatorio di Camaldoli / accovacciata ai miei piedi un’accolta di ricoverati / taluni convalescenti taluni forse condannati / radioso fra gli alberi il cielo partenopeo / ma lontano vibrava lo spirito di quei sofferenti / nello spazio rapiti e nel tempo assieme a me / la visione contemplando d’un’era per tutti armoniosa / Armonia armonia brama antica terrena / che pace implica e giustizia e fraternità / sin da quando l’immenso canto del padre Omero / redentrici le invocò di tante forsennate stragi / chissà se di guerre si è stanchi in lontane stelle anche / per sempre stanchi e cogliendo nelle sfere / il modulato sospiro d’amore si preparano / per quei viventi serene glorie chissà / Qui in terra qui da noi Italia mia / in tanti siamo ogni dì più tanti / con la certezza in petto che questo mondo nostro / questo convulso adolescente mondo stia per mutare / in tanti siamo con gli occhi della mente fisi / là dove il mutamento già è avvenuto / dove niuno più di fame langue né più è servo / ma in concordia ciascun s’adopra a far la vita vieppiù alta / Alto paese dove son stata e alto l’ho chiamato / ne dico l’impetuosa laude alla gente nostra / intorno ella mi si affolla ben intendendo / e mai certezza e volontà van smarrite / neppur a chi vien meno lavoro e rifugio / ben fu un minatore a Carbonia a farmi l’augurio / di poter io un dì intitolar un’altra poesia Italia Alto Paese / oh compagno minatore compagno minatore / s’anche io più non sarò su nostra terra / e l’auspicata ode scrivere più non potrò / un dì verrà che alta Italia rifulgerà / quale la vagheggiamo quale le foggiamo / giorno per giorno a noi a milioni / ovunque tanto fieramente si patisce e lotta / mentre nel sole le pietre antiche e le lagune / palpitano e i golfi e le verzure. / un dì verrà che buona per tutti avrem resa la vita / per tutti libera come il canto degli alati / arridenti asili nelle città illustri / e gli opifici nei villaggi nuovissimi / e niun’ombra più di insani vergognosi atti / e che la pace non abbia regnato fra gli umani / orrida favola allora apparirà, e favola incredibile l’orrida ingiustizia d’ora. Oh volontà e certezza del dì che verrà / per tutto il mondo e dunque per te anche / oh vetusta e pur raggiante d’ un sì giovanile sorriso / mia patria mia Italia mia Italia. Dopo un lungo profondo silenzio, Ascanio ribadisce che la poesia di Sibilla Aremano “Mia Italia un dì” è dedicata a Palmiro Togliatti. Tutti applaudono. Foresto, mentre riprende a radere la barba di Orano, borbotta: Veniamo da lontano e andiamo lontano.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 22 Gennaio 2025 h.16,57)



[PASSATO PRESENTE]
Sia, l'acre sapore delle lacrime,
per non piangere, inghiottite,
stimolo aspro al lavoro, alla lotta.
-Palmiro Togliatti-

VEDI:
DIVINAZIONE A VENIRE (RACCOLTA IMMORTALE)
-Renzo Mazzetti- (Venerdì 3 Gennaio 2025 h.13,00)

categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.








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