LA RINASCENZA





Operaio comunista, Settembre 1968.






LA RINASCENZA

(Meditazione su: “Arte e lavoro” di P. H. “L’Ordine Nuovo” Agosto 1920)


Da che mondo è mondo, quanti uomini hanno visto che ciò che vi è di più bello è il lavoro?
L’arte è stata per dei secoli ferma davanti alla donna, al guerriero, alla stella.
Si è essa fermata davanti all’operaio?
Gli uomini intrepidi nei mestieri del fuoco offrono forse uno spettacolo meno eroico del cozzo degli amanti?
L’immagine dei donatori in ginocchio ci dice che cosa fu la fede: quale immagine ci rimane dell’uomo che amava il suo mestiere, del trasfigurato assorto nel suo lavoro?
Ogni giorno, per le mani dell’operaio, la salvezza del mondo si celebra; a lui l’arte dovrà la sua vita nuova.
Gli spettacoli dell’amore e della preghiera, non hanno più, per l’artista, capacità d’ispirazione: ma chi ha adorato la dolorosa bellezza dei mestieri?
Dopo tante immagini stanche, ecco la Rinascenza: l’alto forno spalanca la gola onde un vomito di fuoco esce contro gli uomini senza paura, il comignolo soffia verso il cielo il suo grande riso di scintille, che gli uccelli sorvolano.
Appare, tra i bianchi vapori, la filatrice di lino: discinta, nell’umido incubo del suo telaio fumoso, essa ha il viso livido incoronato dalle nebbie moventi.
Coloro che non vogliono riconoscere nel socialismo la più elevata delle mistiche: la mistica dell’idea di giustizia e che oppongono ad esso il rispetto della rendita, insistono trionfalmente su questa affermazione: “Il socialismo porterà il mondo alla bruttezza: esso farà morire l’arte”.
Bisogna pregare costoro di badar bene a che cosa si aggrapparono.
Qual è l’arte loro?
I romanzi dove si impiegano trecento pagine per venir a sapere se la viscontessa si diverte col barone, o col marchese, o con tutti e due.
La produzione teatrale dove una donna maritata va per quattro atti in cerca di giustificazioni della sua voglia di adulterio.
Questo mondo non è capace più di invenzione.
Quanta meditazione occorre, davanti all’arte contemporanea, per vedere che anche ad essa la rivoluzione [socialista e comunista] darebbe salute?
L’anima sua spossata ricerca senilmente i sollazzi pornografici: amiamo dunque l’ondata di salute che ne condurrà a termine la distruzione.
Ciò che è degno di morte deve morire.
Il mondo ha bisogno di rinascere.
I poeti delle razze agricole hanno baciato la terra, quelli dei popoli guerrieri hanno esaltato il delitto; gli scrittori della nostra razza industriale ammorbidiscono tra i vellicamenti erotici.
La condizione del lavoro rende inevitabile il contrasto continuo tra il mestiere e il divertimento: a quanti uomini la giornata più corta permetterà il meditare? E quale arte uscirà da questa meditazione del popolo?
La folla che foggia la realtà porta sopra di sé gli artisti consumatori d’inchiostro che vivono, segregati, tra lo studio gremito di libri e il salotto affollato di signore, ma il muratore ch’è morto nel costruire la casa dov’essi si chiudono ha vissuto un dramma quale essi non narreranno mai.
Quale garanzia è nella coscienza del proprio mestiere?
Nessuno ancora ha fatto regnare su di noi questa bellezza, perché coloro che la celebrano sono votati al silenzio.
Smettendo di riprodurre i gesti degli oziosi e di inventare la psicologia delle donne che vivono di rendita, l’arte ritornerà ai tempi in cui essa era la sublimazione del lavoro, del lavoro della terra e del lavoro di guerra.
Il dramma dell’officina si colloca sopra uno stesso piano con l’Iliade.
Gli uomini che oggi tengono nelle mani loro la realtà, che sopportano il colpo del sasso che cade e dell’ordigno che scoppia, sono dei poeti che hanno la bocca chiusa. Una tragica armonia è nella sofferenza loro sconosciuta.
La penna loro precede la luce. Essi vengono nell’ora commossa in cui il giorno sta per spuntare.
Il rumore dei passi sale nell’officina, alle trasmissioni immobili. Il gesto familiare del macchinista tasta le viti serrate all’ultimo filo. E’ l’ora. Il lento partire della biella distende l’olio biondo sui cuscinetti lucenti. Il volante spiega i suoi cavi sopra i raggi che accelerano il moto: grandi braccia lanciate alla ricerca di un ideale irraggiungibile. I telai si muovono. E lo strepito del laboratorio sembra, nel mattino candido, il ronzio di un insetto dalle ali nere. Chi dirà il Paradiso perduto di questa umanità?
Ma vedete la buona squadra al lavoro: sei carpentieri ribattono le chiavarde di un’altra trave di ferro. Sotto di essi l’abisso che freme di voli. Le dodici braccia obbediscono a un’anima sola, l’anima del mestiere; chi vien meno ad essa cade e fa cadere gli altri. Contro il pericolo sono armati di coscienza. I gesti ricurvi ritmati l’uno sull’altro, si fondano in un gesto solo. Nulla è bello al pari del bel lavoro. Ma se cadono essi non sanno che la caduta loro leva nello spazio un canto muto, grande come i canti di Omero.
Nella resistenza alla vertigine, davanti alle malie del fuoco dove sudano i volti duri degli affaticati i cui corpi perduti morde l’agile fiamma, qui sono gli uomini che portano la pena nel mondo.
Nello spirito loro vive la religione millenaria di cui ancora non è giunto il messia: la GIUSTIZIA.
Sperarla è il loro sogno, attuarla è la loro passione. Per essa sono capaci di amare la morte. Quale più potente spirito può dare all’arte l’ispirazione sua?

-Renzo Mazzetti- (Sabato 13 Aprile 2024 h.15,26)


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ZEROQUARANTADUE
Senza alcuna ragione ragionata
le braccia e le gambe
frenetiche si muovono precise
e le mani attente, veloci, lontane
si attaccano ai pezzi
innestandoli opportunamente.
In questo non vivere
nell'ammasso di ferro lavorato
di viti e rondelle e bulloni
e trapani e chiavi e motori
il cervello diventa piombato
tenta di fuggire la realtà
nella testa disturba.
Uomini e donne protagonisti
consapevoli della fatica alienante
assorbono grammo su grammo nocività
sopravvivono ai tempi di produzione
costruiscono utilità.
-Renzo Mazzetti- (1 Giugno 1977)



IL Bicefalo e le dimenticanze tra le righe”


categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.






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