GABBIANI AI TEMPORALI






GABBIANI AI TEMPORALI



(Meditazione su una piccola parte del libro: “Un popolo alla macchia” di Luigi Longo)

Perché l’Italia fosse di nuovo libera e una dalla Sicilia alle Alpi, presero le armi 462.000 partigiani e patrioti. Di essi 76.500 caddero sul campo di battaglia o nel martirio: sono i nostri morti, quelli che conoscemmo da vicino, che vedemmo cadere, essi sono presenti al nostro cuore e alla nostra mente.

“E’ triste ma fiero il discorso che fanno ai nostri cuori i morti che ci sono vicini”, scriveva Eugenio Curiel, alla vigilia d’essere assassinato come un ladro di strada. Quella consegna che ogni patriota sentiva nel dolore del suo animo straziato dalla visione dell’Italia su cui accampava il barbaro massacratore nazifascista, quella consegna ci sembrava più sacra quando noi, come scriveva Curiel, la coglievamo nel discorso dei nostri morti:

“Combattere fino alla vittoria, fino alla libertà; osare ancora, fare di più, volere tenacemente ed instancabilmente la vita e la libertà per noi e l’Italia, perché volere questo, conquistare questo, è il suffragio migliore per la loro memoria”.

Ecco lo stato d’animo della Resistenza, stretta come un organismo compatto attorno alle sue leggende e alla sua cronaca, alla crescita miracolosa e commovente e ai fiori del suo martirio, e disposta ogni giorno a rinascere dalle proprie ceneri, a risorgere dai più duri colpi, a ritrarre nuovo vigore e nuovo slancio dalla contemplazione e dalla custodia delle proprie tombe, giovani tombe di combattenti, di eroi, di martiri. Non è retorica, no davvero; e la retorica, del resto, non basterebbe a spiegare perché si sia resistito nonostante tanto sangue, perché le sconfitte e i lutti non sia riusciti mai a piegare lo sforzo e il volere dei combattenti, ma anzi ne abbiano temprato la coscienza e l’ira; perché l’esempio terrificante delle torture e degli strazi – la sorte aperta davanti a ogni partigiano, a ogni membro, anche il più umile, della Resistenza – non sia bastato a distogliere gli uomini dai loro compiti rischiosi, dalla loro volontaria missione.

“Non ho rimpianti, non ho rammarichi. Faccio questo per alto e strano senso del dovere”, lascia scritto Filippo Beltrami, l’eroe di Omegna. “Credeva nell’onore e nella bontà degli uomini”, scrive “Mauri” del martire Ignazio Vian. “Willy sapeva che lo avrebbero preso, Willy sapeva che lo avrebbero ucciso. E sua moglie lo sapeva come lui. Ma dovevano fare quello che hanno fatto”, sottolinea Enrico Meille rievocando Willy Jervis. “Maggiore sarà la possibilità di reazione al dolore – scrive nella sua ultima lettera ai familiari il tenente Pedro Ferreira – se penserete che il vostro figlio e fratello è morto come i fratelli Bandiera, Ciro Menotti, Oberdan e Battisti colla fronte rivolta verso il sole… è morto per la patria alla quale ha dedicato tutta la vita… è morto per la libertà e la giustizia che trionferanno pure un giorno quando sarà passata questa bufera…”.

“Con quanta ebrezza, quanta gioia – ci manderebbero dal boia – Ma noi, gabbiani ai temporali, - Nella tempesta ci buttiamo – E poi spieghiamo le nostre ali – Volando là dove amiamo”: così cantava un anonimo partigiano, ed è davvero con quest’ardito, semplice e fresco coraggio che la Resistenza tutta ha reagito con fermo e puro cuore ai lutti e ai massacri, e ogni giorno si è rifatta pronta a spiegare le ali verso nuove vittorie, verso nuove riprese. Verso la primavera dell’insurrezione e della vittoria.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 28 Aprile 2024 h.12,55)


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INCONTRO
E sentivo
che tu sentivi
quel richiamo
della nostra foresta:
se il vento fischiava
ora fischia più forte …
Un bacio
ad ogni strofa
sulle labbra entusiasma
quello e questo entusiasmo.
Contessa del mondo
nostra unica Patria.
Momenti magici
perenni rivivono
vivono!
-Renzo Mazzetti- (2001)


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categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.




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