COMPAGNI SOGNATORI
giovedì, 13 aprile 2017
COMPAGNI SOGNATORI
In quella città tutto era strano, incomprensibile. Una folla
di chiese alzava al cielo cupole lucenti e policrome, ma le mura e i fumaioli
degli opifici erano più alti dei campanili, ed i templi erano quasi sopraffatti
dalle grevi facciate degli edifici industriali e si perdevano tra le reti cupe
dei muri di pietra, come fiori fantastici fra la polvere e i rottami delle
rovine. E quando le campane delle chiese chiamavano alla preghiera, le loro
voci bronzine, strisciando sul ferro dei tetti, si perdevano fioche negli
angusti labirinti, fra le case. Le case erano immense e spesso belle, le genti
deformi e meschine. Dalla mattina alla sera gli uomini, come sorci grigi,
correvano agitati per le vie strette e tortuose della città e con avidi sguardi
cercavano, alcuni il pane, altri il divertimento, altri ancora, fermi al
crocevia, spiavano ansiosi ed ostili che i deboli si piegassero rassegnati alla
volontà dei forti. Forti erano chiamati i ricchi; tutti credevano che soltanto
il denaro potesse dare potenza e libertà all’uomo. Tutti desideravano la
potenza, perché tutti soffrivano la schiavitù. Il lusso dei ricchi faceva
nascere l’invidia e l’odio dei poveri; nessuno conosceva musica più gradevole
che il tintinnio dell’oro e per conseguenza ognuno era nemico dell’altro e la
crudeltà dominava tutti. Al di sopra della città splendeva qualche volta il
sole, ma la vita era sempre tetra e gli uomini simili alle ombre. Di notte si
accendevano molte gaie luci, ma allora per le vie comparivano donne affamate a
vendere le loro carezze; da tutte le parti penetrava nelle nari l’odore acuto
delle vivande e dovunque luccicavano, silenziosi ed avidi, gli occhi tristi
degli affamati. E per l’aria lentamente saliva il lamento soffocato di una
immensa infelicità, cui mancava la forza di manifestarsi a voce alta. Tutti
vivevano annoiati e agitati, tutti erano ostili e colpevoli, soltanto pochi
sentivano di aver ragione, ma quei pochi, rozzi come bestie, erano i più
crudeli… Tutti volevano vivere e nessuno sapeva come; nessuno poteva
liberamente seguire le proprie aspirazioni, e ad ogni passo verso l’avvenire
era costretto involontariamente a rivolgersi verso il presente, che, con le
mani forti e possenti d’un avido mostro, arrestava l’uomo sul suo cammino e lo
avvolgeva nei suoi lubrici amplessi. Si sentiva sempre la noia, l’agitazione,
talora la paura, e intorno alle genti, immobile, come una prigione, stava
quella città malinconica e cupa: quei gruppi regolari, disgustosi, di pietre
che avevano sopraffatto i templi. In mezzo al vano e triste affannarsi di
dolori e di sventure, nella mischia convulsa dell’avidità e del bisogno, nel
fango del basso egoismo, pei sotterranei delle case in cui viveva quella
miseria che aveva creato la ricchezza della città, si aggiravano invisibili
sognatori, solitari pieni di fede nell’umanità, isolati da tutti; predicatori
di ribellione, faville sediziose del lontano fuoco della verità.
CHI E’ L’AUTORE ??????????
Vedi:
COMPAGNOCANE (19 Dicembre 2009)
LO ZELO EUROPEISTA (27 Febbraio 2017)
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