La poesia, una volta pubblicata, è una cosa che va per conto
suo, e chi la legge non sa nulla dei canoni interpretativi del suo autore. La
poesia di Pasolini cade in mezzo a una determinata società e in un determinato
momento nel quale i giovani, nonostante le sue illusioni, sono in gravissime
difficoltà. Parlo degli studenti e parlo della gioventù operaia: a mio giudizio
è in corso un’operazione congiunta per isolare il movimento giovanile… Ebbene,
in tutto questo concorso di forze che cerca di isolare, mancava la voce di un
poeta. E la voce del poeta è venuta, per accusarli di essere in malafede,
d’essere dei piccoli borghesi… oggi noi assistiamo a un processo
rivoluzionario, o almeno ne cogliamo i sintomi, iniziali ma chiarissimi. [
Quale ispirazione il poeta avrebbe colto dai fatti di Genova e Bolzaneto? Quali
versi avrebbe scritto per i benestanti giovani governanti di oggi? ].
(Meditazione sull’intervento di Vittorio Foa, tavola rotonda su L’Espresso anno
1968). La mia poesia ha
nello stesso tempo più di una chiave di lettura. Questi brutti versi li ho
scritti su più registri contemporaneamente e perciò sono tutti sdoppiati,
ironici e autoironici.
IL PCI AI GIOVANI !!
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora
nati…
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo borghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della
polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.
-Pier Paolo Pasolini-
(L’Espresso, 1968)
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