L’ARTE DEL DIRE

 

sabato, 23 febbraio 2013

L’ARTE DEL DIRE

Può adunque la parola considerarsi nelle studio delle Belle Lettere e come suono e come segno. Difatti l’arte del dire la considera così sotto all’uno come sotto all’altro aspetto. Nondimeno è assai più importante per gli uomini, e conseguentemente per l’arte del dire, di aver riguardo alla parola ricevuta come segno, di quello che sia osservata come suono. Imperciocchè è infinitamente più utile per la società umana conoscere il valore de’ segni che sono necessarii per comunicare agli altri i nostri pensieri ed i nostri sentimenti, di quel che non è il conoscere la formazione e la natura de’ semplici suoni. Per altro l’arte del dire considera anche i semplici suoni, non già per quel che essi vagliono assolutamente, ma per lo profitto che ne può ricavare, onde meglio conseguire il fine che essa si propone. Come le idee che gli uomini generalmente hanno, sono in grandissimo numero, così in grandissimo numero convien che siano i suoni dell’umana voce, destinati ad esser segno, ciascuno, di qualche particolare idea; ed il complesso di questo gran numero di segni è quello che noi traslatamente chiamiamo lingua. Ma non d’una lingua sola si servono gli uomini sopra la terra; anzi, secondo che quelle adunanze di molti popoli o di nazioni, son divise o differenti tra di loro per ragion del clima, de’ costumi o delle varie circostanze politiche; così sono varie e fra di lor differenti le lingue che gli uomini parlano. Delle varie lingue, di cui gli uomini si sono serviti o si servono ad esprimere le loro idee, altre si dicon vive, altre spente, altre morte, altre erudite, altre colte, altre barbare, altre forestiere. La sapienza dell’uomo consiste nel fare il miglior uso che sia possibile di molte verità conosciute a proprio vantaggio. Queste verità non si conoscono se non facendo molti paragoni di idee; né molti paragoni si possono fare, se molte idee non si sono acquistate. Però tutti i mezzi, che contribuiscono ad arricchire il tesoro della nostra mente di più gran numero d’idee, non debbon esser da noi trascurati, massimamente nella prima gioventù, quando la innocenza del nostro animo ci rende più atti a ricevere le purissime immagini degli oggetti senza pericolo che ci vengano adulterate e corrotte dalle anticipate opinioni; quando la nostra memoria è più capace di custodirle profondamente, e quando la ferma costituzione della nostra macchina ci rende più alacri e più forti ad intraprendere e a sostenere la fatica che si richiede nell’acquisto e nell’uso de’ mezzi. Giova assaissimo a conoscer l’indole e la natura d’una lingua, e per conseguenza a far buono e sicuro uso di quella, il sapere in qual modo, per quali accidenti e da quali altre lingue sia formata. (Meditazione su Della parola e della lingua in genere di Giuseppe Parini). 

 L A  FINE DER  FILOSOFO
 Appena entrò ne la foresta vergine
 er Professore de filosofia,
 tutte le scimmie scesero dall’alberi
 co’ l’intenzione de cacciarlo via.
 Ma l’Omo disse: No, nun è possibile
 che torni a fa er filosofo davero
 in una società piena de trappole
 dove l’Azzione buggera er Pensiero.
 Oggi, quelo che conta, so’ li muscoli:
 Co’ la raggione nun se fa un bajocco…
 Mejo le scimmie!
 E er povero filosofo
 s’arrampicò su un arbero da cocco.
 -Trilussa-

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