RIFORMA ELETTORALE
martedì, 6 novembre 2012
RIFORMA ELETTORALE
La piazza è piena prevalentemente di contadini e operai; pochi altri raggruppati al centro, che portano il vestito completo con il nastro nero annodato al colletto della camicia, sono conosciuti insegnanti; tre personaggi, sconosciuti e quasi nascosti in un angolo in fondo, sembrano funzionari del re o spie della polizia. Una bandiera rossa sventola in prima fila sotto il nudo palco formato con un carro agricolo. Un fragorio di battimani accoglie il compagno Felice. Cavallotti prende il microfono e subito esclama: ”Io chiamo piccina quella scienza di Stato che fa consistere l’abilità e l’astuzia nello studiare i congegni affinché le minoranze appaiano nella loro espressione legale artificialmente minori di quello che sono e della forza che hanno realmente nel Paese”. Anche Gronchi, che ascoltai nella sala parrocchiale Pontederese, affermava che se viene abolita la proporzionale il suffragio universale diventa una beffa. E sottolineava che solo riconoscendo attraverso la legalità del voto, attraverso la funzione della rappresentanza parlamentare a ciascun partito l’influenza che gli spetta nella vita politica della nazione, si assicura quella pace sociale che è nell’animo di tutti. Se il suffragio universale è diviso dalla rappresentanza proporzionale si va inevitabilmente verso la deformazione antidemocratica del criterio del numero, della maggioranza inerte e compiaciuta. Se le minoranze sono ridotte a quantità così sparute da non poter più corrispondere alla loro ideale e pratica funzione, e quindi se un tale stato di inferiorità fa perdere ad alcuno dei partiti ogni fiducia nell’istituto parlamentare che non offre più loro il mezzo per far valere civilmente la loro influenza nella vita del paese, questo governo avrebbe mal contribuito al suo fine di assestamento e di pacificazione. (Ricordo da un racconto di Tirella).
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