MERAVIGLIA

 

lunedì, 19 marzo 2012

MERAVIGLIA

 

 In verità la poesia è tal meraviglia, che se voi fate una vera poesia ella sarà della stessa qualità che una vera poesia di quattromila anni sono. Come mai? Così: l’uomo impara a parlare tanto diverso o tanto meglio, di anno in anno, di secolo in secolo, di millennio in millennio; ma comincia con far gli stessi vagiti e guaiti in tutti i tempi e luoghi. La sostanza psichica è uguale nei fanciulli di tutti i popoli. Un fanciullo è un fanciullo allo stesso modo da per tutto. E quindi, né c’è poesia arcadica, romantica, classica, né poesia italiana, greca, sanscrita; ma poesia soltanto, soltanto poesia, e… non poesia. Sì: c’è la contraffazione, la sofisticazione, l’imitazione della poesia, e codesta ha tanti nomi. Ci sono persone che fanno il verso degli uccelli; e al fischio sembrano uccelli; e non sono uccelli, sì uccellatori. Ora io non so dire quanta vanità sia la storia di codesti ozi…. Noi in Italia ragioniamo e distinguiamo troppo. Quella scuola era migliore, questa peggiore. A quella bisogna tornare, a questa rinunziare. No: le scuole di poesia sono tutte peggio, e a nessuna bisogna addirsi. Non c’è poesia che la poesia. Quando poi gl’intendenti, perché uno fa, ad esempio, una vera poesia su un gregge di pecore, pronunziando che quel vero poeta è un arcade: e perché un altro, in una vera poesia ingrandisce straordinariamente una parvenza, proclamano che quell’altro vero poeta pecca di secentismo: ecco gl’intendenti scioccheggiano e pedanteggiano nello stesso tempo. Qualunque soggetto può essere contemplato dagli occhi profondi del fanciullo interiore: qualunque tenue cosa può a quegli occhi parere grandissima.

 

I N D O V I N A       L ‘ I N D O V I N E L L O:

 

C H I       E’       L ‘ A U T O R E ?????????????

 

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L  A        M O  R  T  E       D  I       A  N  I  T  A

 

E Anita muore. Quella bruna testa,

 

che passò fra i baleni alta e tranquilla

 

sotto un perpetuo rombo di tempesta,

 

langue riversa, mentre il vespro brilla,

 

sopra un guancial pietoso, aprendo immota

 

sul dolce Eroe la vitrea pupilla.

 

Fissando ancor la cara faccia nota,

 

ecco velarsi l’occhio moribondo

 

che in una lenta lacrima le nuota,

 

e tutto a quel velato occhio profondo

 

impallidire su la ravegnana

 

pineta il cielo e scolorire il mondo.

 

Come un lamento d’anima lontana,

 

nella penombra che quieta scende,

 

piange per l’aria un pianto di campana.

 

Anita muore. Levasi e s’accende

 

quel cereo viso a un tratto:al guardo inerte

 

forse un’estrema vision risplende.

 

Oh verdi, interminabili, deserte

 

distese della pampa! Oh pascolanti

 

saure, del fren della sua mano esperte!

 

Ivi ella crebbe con l’alte erbe ondanti,

 

ivi Ei le apparve, biondo come il sole,

 

e la guardò con gli occhi scintillanti…

 

Sfumavasi in pallori di viole

 

l’adriatico vespro, e all’amor suo sul petto

 

fra quell’umili mura ignote e sole

 

ella piegò. Con ansioso affetto

 

Ei la chiamò, chiamò con passione

 

impetuosa il bel nome diletto;

 

e in desolata disperazione

 

la violenza del compresso duolo

 

dal cor gli uscì. Quel core di leone

 

poteva ormai ben piangere: era solo.

 

-Giovanni   Marradi-

 

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