EMILIO

GIOVEDÌ, 29 SETTEMBRE 2011

EMILIO

Carceri Giudiziarie di Roma. Cara ed amata mamma, ti scrivo mentre davanti a me ho ancora poche ore di vita. Mamma perdonami è un grande dolore che ti do; ma è il dovere che mi chiama. Vado morendo contento che un giorno ti rivedrò lassù pregherò il S.Cuore perché abbia a consolarti. Raggiungo il mio caro papà che mi attende. E’ il mio ultimo scritto, ma non ti accasciare, perdona il figlio che ha una brutta sorte. I miei fratelli mi vendicheranno e lo voglio da loro, muoio con ingiustizia. E a Roma riposeranno le mie ossa: questa città è stata delle mie sofferenze e la mia tomba. Da lassù ti guarderò e ti guiderò. La mano mi trema e non so più quello che dico. Ti chiedo ancora perdono. Muoio con due rancori; uno di aver dato ad una mamma un dolore, ma tu mi perdoni ed io muoio contento, l’altro di aver deluso una ragazza che tanto mi amava. E se un giorno la vedrai, lei ti racconterà di me. Ed ora termino perché l’ora si avvicina. Perdona, perdona, mammina; ti bacia e ti abbraccia per l’ultima volta il tuo Emilio, baci ai miei fratelli cari Ottorino e Carlo. Addio per sempre, mamma cara, il tuo EMILIO addio! (Emilio Scaglia -Medaglia d’Argento al Valor Militare, di anni 20, Guardia di Pubblica Sicurezza, fucilato con altri quattro compagni alla vigilia della liberazione di Roma, giugno 1944).

CONTRO     DENIGRATORI     DELL’ITALIA
Stassi fra’ nembi torbida
Notte, e la neve il viatore inganna;
Fischiano i venti, e fiedono
Le quiete soglie della mia capanna.
Sorgiam: fra’ sassi ripidi
Face m’irradia nel temuto orrore;
Scuote nell’aer pallido
l’onnipossente face il patrio Amore.
Su questi lidi inospiti
Egli mi chiede il sospirato canto;
Dove la selva incurvasi
Meco discende, e si discioglie in pianto.
In questa valle, io d’ebano
Un’ara bruna all’alte Muse accesi,
E le ghirlande altissime
Di cipresso immortale intorno appesi.
Qui ‘l sacrificio a compiere
Ecco m’accingo fra le piante annose:
Scendete ai sacri cantici,
O d’Apolline Re vergini spose.
Del patrio amor la vindice
Domatrice de’ mostri alma faretra
Io qui depongo supplice,
E strali eterni la mia voce impetra.
Impuro labbro, o vergini
Muse, v’offende col protervo accento,
E dell’ingegno ausonico
Narra che il lampo eternatore è spento.
Immenso sdegno fremere
Or tutto sento nel profondo petto,
E a piè dell’are armoniche
Voi, sacre Muse, a vendicarvi aspetto.
Entro la notte gelida,
Che intorno cinge quel fatal sentiero,
Udrete l’alto sibilo
Ch’esce dall’arco dell’offeso arciero;
Mentre de’ lauri italici
Le sacre a vendicare ombre famose,
Voi scenderete ai cantici,
Voi d’Apolline Re vergini spose.
-Diodata Saluzzo-

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