ZANZE

giovedì, 24 marzo 2011

ZANZE

Io non posso parlare del male che affligge gli altri uomini. Ma il male che toccò in sorte a me da quando vivo, bisogna che io lo confessi lo trovai sempre a qualche mio giovamento. Perfino quell’orribile calore che mi opprimeva, e quegli eserciti di zanzare che mi facevano la guerra sì feroce. Senza uno stato di perenne tormento com’era quello avrei avuta la costante vigilanza necessaria per conservarmi invulnerabile ai dardi di un amore che mi minacciava con un’indole sì allegra ed accarezzante qual’era quella della fanciulla? Se io talora tremava di me in tale stato, come avrei potuto governare le vanità della mia fantasia in un aere alquanto piacevole, alquanto consentaneo alla letizia? Stante l’imprudenza dei genitori della Zanze, che tanto si fidavano di me; stante l’imprudenza di lei, che non prevedeva di potermi essere cagione di colpevole ebrezza; stante la poca sicurezza della mia virtù, non v’ha dubbio che il soffocante calore di quel forno e le crudeli zanzare erano salutar cosa. Io mi domandavo: vorresti tu essere libero e passare in una buona stanza consolata da qualche fresco respiro e non vedere più quell’affettuosa creatura? Io non avevo il coraggio di rispondere. Quando si vuole un po’ di bene a qualcheduno, è indicibile il piacere che fanno le cose in apparenza più nulle. Spesso una parola della Zanze, un sorriso, una lagrima, una grazia del suo dialetto veneziano, l’agilità del suo braccio in parare col fazzoletto o col ventaglio le zanzare a sé ed a me, m’infodevano nell’animo una contentezza fanciullesca che durava tutto il giorno. Principalmente m’era dolce il vedere che le sue afflizioni scemassero parlandomi, che la mia pietà le fosse cara, che i miei consigli la persuadessero, e che il suo cuore s’infiammasse allorché ragionavamo di virtù e di Dio. Quando abbiamo parlato insieme di religione, diceva ella, io prego più volentieri e con più fede. Talvolta troncando ad un tratto un ragionamento frivolo prendeva la Bibbia, l’apriva, baciava a caso un versetto, e voleva quindi ch’io glielo traducessi e commentassi. E diceva: vorrei che ogni volta che rileggerà questo versetto, ella si ricordasse che v’ho impresso un bacio. Non sempre per verità i suoi baci cadevano a proposito, massimamente se capitava di aprire il Cantico de’ Cantici. Allora, per non farla arrossire, io profittava della sua ignoranza del latino, e mi prevaleva di frasi in cui, salva la santità di quel volume, salvassi pur l’innocenza di lei, ambe le quali m’ispiravano altissima venerazione. In tali casi non mi permisi mai di sorridere. Era tuttavia non picciolo imbarazzo per me, quando alcune volte, non intendendo ella bene la mia pseudo-versione, mi pregava di tradurle il periodo parola per parola, e non mi lasciava passare fuggevolmente ad altro soggetto. - Silvio Pellico, Le mie prigioni.

 CANTICO DE’ CANTICI <parte>
 Mi baci con i baci della sua bocca!
 Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.
 Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,
 profumo olezzante è il tuo nome,
 per questo le giovinette ti amano.
 Attirami dietro a te, corriamo!
 M’introduca il re nelle sue stanze:
 gioiremo e ci rallegreremo per te,
 ricorderemo le tue tenerezze più del vino.
 A ragione ti amano!

 Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
 come le tende di Kedar,
 come i padiglioni di Salma.
 Non state a guardare che sono bruna,
 poiché mi ha abbronzato il sole.
 I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
 mi hanno messo a guardia delle vigne;
 la mia vigna, la mia, non l’ho custodita.
 Dimmi, o amore dell’anima mia,
 dove vai a pascolare il gregge,
 dove lo fai riposare al meriggio,
 perché io non sia come vagabonda
 dietro i greggi dei tuoi compagni.
 Se non lo sai, o bellissima tra le donne,
 segui le orme del gregge
 e mena a pascolare le tue caprette
 presso le dimore dei pastori.

 Alla cavalla del cocchio del faraone
 io ti assomiglio, amica mia.
 Belle sono le tue guance fra i pendenti,
 il tuo collo fra i vezzi di perle.
 li faremo per te pendenti d’oro,
 con grani d’argento.

 Mentre il re è nel suo recinto,
 il mio nardo spande il suo profumo.
 Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra,
 riposa sul mio petto.
 Il mio diletto è per me un grappolo di cipro
 nelle vigne di Engàddi.
 Come sei bella, amica mia, come sei bella!
 I tuoi occhi sono colombe.
 Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!
 Anche il nostro letto è verdeggiante.
 -Salomone-

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