GIOVEDÌ, 24 FEBBRAIO 2011
ALFREDO
Carissimi tutti, perdonate se vi arreco questo dolore, ma
sopportatelo come ho sopportato io alla mia sentenza di morte. Sono sereno, e
non una lacrima ho versato. La fede in Dio mi ha dato tanta forza. Morirò col
vostro nome sulle labbra pensando a Voi tutti, e felice di morire per la causa
che avevo abbracciato. Ricordatemi a tutti parenti e amici. Vado a morire da eroe.
Mamma, perdonami, fai un bacione per me a Bianca che ho tanto amato. Bacioni a
voi tutti. Vostro Alfredo. Cuorgnè, 1. 2. 45 ore 10,15. (Partigiano fucilato il
2 febbraio 1945).
DICHIARAZIONE
No, non c’è la morte.
Neppure questa pietra è morta.
E non è morto il frutto che è caduto:
tutto in vita ritorna al tocco delle dita,
tutto respira al ritmo del mio sangue,
del soffio che lo sfiora.
Così, quand’anche la mia mano seccherà,
nel ricordo vivrà di un’altra mano,
e tacita la bocca serberà
il gusto delle bocche che ha baciato.
-José Saramago-
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DAL CARCERE
Carcere di Milano, 26 dicembre 1927. Carissima Tania, è così
passato anche il Santo Natale, che immagino quanto sia stato laborioso per te.
In verità, io ho pensato alla sua straordinarietà solo da questo punto di
vista, l’unico che mi interessasse. Di notevole non c’è stato che il fatto di
una generale tensione degli spiriti vitali in tutto l’ambiente carcerario; il
fenomeno poteva essere rilevato già in isvolgimento da tutta una settimana.
Ognuno aspettava qualcosa di eccezionale e l’attesa determinava tutta una serie
di piccole manifestazioni tipiche, che nell’insieme davano questa espressione
di uno slancio di vitalità. Per molti l’eccezione era una porzione di pasta
asciutta e un quarto di vino che l’amministrazione passa tre volte all’anno
invece della solita minestra: ma che avvenimento importante è questo, tuttavia.
Non credere che io me ne diverta o ne rida. L’avrei fatto, forse, prima di aver
fatto l’esperienza del carcere. Ma ho visto troppe scene commoventi di detenuti
che si mangiavano la loro scodella di minestra con religiosa compunzione,
raccogliendo con la mollica di pane anche l’ultima traccia di unto che poteva
rimanere attaccata alla terraglia! Un detenuto ha pianto perché in una caserma
di carabinieri, dove eravamo di transito, invece della minestra regolamentare
fu distribuita solo una doppia razione di pane; era da due anni in carcere e la
minestra calda era per lui il suo sangue, la sua vita. Si capisce perché nel
Pater noster è stato messo l’accenno al pane quotidiano. Io ho pensato alla tua
bontà e alla tua abnegazione, cara Tania. Ma la giornata è trascorsa un po’
come tutte le altre. Forse abbiamo chiacchierato di meno e letto di più. Io ho
letto un libro di Brunetière su Balzac, una specie di penso per bambini
cattivi. Ma non voglio affliggerti con questo argomento. Invece ti voglio
raccontare un episodio quasi natalizio della mia fanciullezza, che ti divertirà
e ti darà un tratto caratteristico della vita dalle mie parti. Avevo
quattordici anni e facevo la terza ginnasiale a Santu Lussurgiu, un paese
distante dal mio circa diciotto chilometri, e dove credo esista ancora un
ginnasio comunale in verità molto scalcinato. Con un altro ragazzo, per
guadagnare ventiquattr’ore in famiglia, ci mettemmo in istrada a piedi
dopopranzo del 23 dicembre invece di aspettare la diligenza del mattino
seguente. Cammina, cammina, eravamo circa a metà del viaggio, in un posto
completamente deserto e solitario; a sinistra, un centinaio di metri dalla
strada, si allungava una fila di pioppi con delle boscaglie di lentischi. Ci
spararono un primo colpo di fucile in alto sulla testa; la pallottola fischiò a
una decina di metri in alto. Credemmo a un colpo casuale e continuammo
tranquilli. Un secondo e un terzo colpo più bassi ci avvertirono subito che
eravamo proprio presi di mira e allora ci buttammo nella cunetta, rimanendo
appiattati un pezzo. Quando provammo a sollevarci, un altro colpo e così per
circa due ore con una dozzina di colpi che ci inseguivano, mentre ci
allontanavamo strisciando, ogni volta che tentavamo di ritornare sulla strada.
Certamente era una comitiva di buontemponi che voleva divertirsi a spaventarci,
ma che bello scherzo, eh? Arrivammo a casa a notte buia, discretamente stanchi
e infangati e non raccontammo la storia a nessuno, per non spaventare in
famiglia, ma non ci spaventammo gran che, perché alle prossime vacanze di
carnevale il viaggio a piedi fu ripetuto senza incidenti di sorta. Ed ecco che
ti ho riempito quasi interamente le quattro paginette! Ti abbraccio
teneramente. Antonio. Ma la storia è proprio vera; non è affatto una storia di
briganti!
DAVANTI AI MIEI OCCHI
Davanti ai miei occhi stupiti
ci sono le sbarre
e il paesaggio del mondo
con le fitte ombre verticali
continua a vivere
per il battito di infiniti cuori.
Gli aguzzi denti
sorridono ad altri denti
mentre l’acqua limpida degli occhi
scende per l’altra acqua
e dentro le membra
risuona lo scricchiolio delle ossa.
Delle calde labbra
e le sensazioni animali
umane vette della felicità
vivono sopra un guanciale.
Vita!
Correre
ma le gambe ferme
lasciano andare i nervi
e nelle orecchie
risuonano parole stanche.
-Renzo Mazzetti, orizzonti, libroitaliano, Ragusa, 2001-
Vedi: QUELLE BESTIE
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