MONNA GOSTANZA
venerdì, 31 dicembre 2010
MONNA GOSTANZA
Lei, Gostanza, prende i calzoni, li mette ora in una maniera ora in un’altra. E, mentre fa queste cose, dice che non devo aver paura: il mi’ figliolo – dice – torna grasso e fresco come una rosa in capo a poco tempo. Che lasci fare a lei. E io dico che sono lì per questo. Eppoi mi dà la medicina. Devo prendere tre pizzichi di garofani e una noce moscata. La noce moscata va pestata. E poi devo prendere nove coppie di uova e dargliene due ogni mattina, con il garofano e la noce moscata pestata. Poi devo prendere un paio di pollastre e cuocerle in due volte. E ne devo fare una scodella di brodo che il mi’ figliolo deve bere. Eppoi deve mangiare le pollastre con i garofani e la noce moscata…
A San Miniato mi portano. E a San Miniato mi mettono nelle segrete del vicario messer Tommaso Roffia. Lui, quello che non remola. Mi ci tengono chissà quanto tempo. Al buio. Al freddo. Ma io ho le ossa dure. E non sto a grattare le orecchie a nessuno. Eppoi mi portano davanti al vicario Tommaso Roffia. Mi si dice che è l’udienza della fune. E torna, lui il vicario, a buttarmi in faccia la storia di Maddalena e della buonanima del su’ figliolo Jacopo e del par di calzoni di lui. Non l’ho misurati, rispondo. Me l’ha portati ma non l’ho misurati. Che si metta alla fune, ordina il vicario. Povera me. Come si fa a reggere alla fune…
Gostanza comincia a spogliarsi. Poi si ferma. E’ mezzo nuda. Guarda la corda.
Non misuro panni. Alla fune, urla il vicario. Alla fune. Come se fossi un animale. Un animale feroce. Un animale da tenere a bada.
Gostanza s’inginocchia. Tace. Scuote la testa. Sospira.
E va bene. E’ vero, misuro i panni con la mano. Con il palmo della mano. Lo fo in più versi….
Gostanza s’alza. Orgogliosa.
Ma che mi fate dire. Io non ho misurato panni. Non li misuro.
(frammenti tratti da: La strega e il vicario di Riccardo Cardellicchio. La Toscana racconta, SARNUS, 2010)
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