SONO MARXISTA
domenica, 26 settembre 2010
SONO MARXISTA
Processo al noir. McCarthy contro Dashiell Hammett.
Non permetterò che siano sbirri e giudici a dirmi quale deve essere la mia idea di democrazia». «La democrazia, come la carità, dovrebbero cominciare a casa propria». A suo fratello Richard, un repubblicano conservatore, che gli chiedeva se si considerasse comunista, Dashiell Hammett rispose semplicemente «Sono marxista». Per lui che era stato detective dell’agenzia investigativa Pinkerton, che aveva combattuto nella Prima guerra mondiale, era diventato comunista dopo il crollo di Wall Street e aveva voluto prendere parte al Secondo conflitto mondiale, malgrado fosse alla vigilia dei cinquant’anni, perché lo considerava parte della sua battaglia personale contro il fascismo, e che aveva lasciato scritto che da morto avrebbe voluto essere seppellito nel cimitero nazionale di Arlington, in Virginia, dove riposano “i caduti per la patria”, i morti in guerra e alcuni presidenti, la sinistra e i valori di libertà e democrazia erano una sola cosa. Oppositore dello stalinismo sovietico ma iscritto al Partito comunista americano tra le due guerre mondiali e sostenitore dei primi movimenti civili degli afroamericani e delle battaglie sindacali che scossero gli Stati Uniti negli anni Venti, Dashiell Hammett sarebbe finito a più riprese sul banco degli imputati negli anni Cinquanta, quando l’isteria anticomunista raggiunse il suo apice nel paese. Ma davanti ai giudici come alla commissione sulle attività antiamericane guidata dal senatore McCarthy, lo scrittore considerato tra gli “inventori” dell’hard boiled si avvalse costantemente del Quinto emendamento della Costituzione americana, rifiutando di rispondere a domande che ne avrebbero potuto provocare l’incriminazione, ma anche di fornire indicazioni che sarebbero potute nuocere ad altri. I verbali di quelle udienze, che si svolsero al Congresso a Washington come nei tribunali di New York, sono stati ora raccolti in “Mi rifiuto di rispondere” (pp. 90, euro 12,00) un volume pubblicato dall’editore Archinto con la prefazione del giudice/scrittore Gianrico Carofiglio. «“Mi rifiuto di rispondere” disse ai suoi aguzzini Dashiell Hammett, ex-investigatore privato, eroe morale e riluttante. – spiega Carofiglio – Lo disse tante volte, quasi come un mantra, di fronte a quelle domande che offendevano la sua intelligenza e cercavano di calpestare la sua dignità. Lo disse con la stessa cocciuta, incrollabile determinazione dello scrivano Bartleby (di Melville), e come quest’ultimo, pronto ad assumersi le conseguenze – il carcere e la rovina – del suo rifiuto. A noi che leggiamo troppi libri e che non sempre distinguiamo il confine tra realtà e fantasia, piace molto pensare che al suo fianco, in quei momenti, ci fosse Sam Spade. Investigatore privato, eroe riluttante e morale». Sam Spade è insieme all’agente investigativo senza nome dell’agenzia Continental Op, a Ned Beaumont, e alla coppia di Nick e Nora, uno dei protagonisti del piccolo pantheon narrativo creato da Dashiell Hammett nello spazio di pochi anni e attraverso un pugno di romanzi e racconti. Cinque romanzi, usciti tra la fine degli anni Venti e la prima metà del decennio successivo, oltre a una serie di racconti brevi pubblicati dalle riviste di genere come “Black Mask”: il tutto in un arco temporale che va dal 1922 al 1934, solo dodici anni. Che furono però sufficienti af Hammett per rivoluzionare per sempre il poliziesco. «Ha tolto il delitto dal vaso di cristallo e l’ha gettato nei vicoli. Ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni vere e solide, e non solamente per trovare un cadavere per i lettori, e lo fa compiere con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali», disse di lui Raymond Chandler, il creatore dell’investigatore Marlowe, spiegando come Hammett avesse liberato il giallo dai molti manierismi che ne limitavano l’espressione. «Avevo 18, 19 anni quando lessi per la prima volta i romanzi di Dashiell Hammett: “Piombo e sangue”, “La chiave di vetro”, “Il falco maltese” e “L’uomo ombra” – spiega James Ellroy, intervistato da Danilo Gallo per il suo “Il mistero Dashiell Hammett” (Edizioni E/O, 2005) – Hammett ha rappresentato per il genere poliziesco quello che Ludwig van Beethoven è stato per la musica: un grande rivoluzionario. Hammett ha tratteggiato la figura di un uomo che, dopo la Prima guerra mondiale, si scopre senza illusioni, sospettoso fino a rasentare la paranoia, alcolizzato e forse anche tossicodipendente. Un uomo con un rapporto molto ambiguo con il denaro, di cui teme il potere di corruzione, e che, malgrado ciò è spesso al servizio dei capitalisti. Questo è l’uomo di Hammett: un personaggio solido e ricco». Quanto a me, aggiunge l’autore di “Dalia nera”, «il mio stile così esplicito nasce dalla combinazione tra l’osservazione e la conoscenza della società reale e quello che ho imparato da Hammett trent’anni fa». Proprio per questo nelle pagine di Hammett fa spesso capolino un ritratto contraddittorio della società americana, fatto di molte ombre e di poche luci, si tratti della repressione antisindacale che da sfondo al romanzo “Piombo e sangue”, eco dell’esperienza dello stesso Hammett tra le fila della Pinkerton spesso utilizzata dagli imprenditori contro le loro maestranze, o a racconti come “Notturno”, presente nella raccolta “Spari nella notte”, rapida istantanea del razzismo nei confronti degli afroamericani.
Quando, nel pieno della Guerra fredda, sia il senatore repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy e la sua commissione parlamentare, che le corti di giustizia di tutto il paese, iniziarono la loro “caccia al rosso”, dando vita a quella che Eleanor Roosevelt avrebbe definito come «una vera ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo paese abbia mai avuto», a Dashiell Hammett fu chiesto conto anche di questo. Un giudice di New York lo condannò a sei mesi di carcere per essersi rifiutato di rispondere alle domande che gli venivano rivolte. E uscito dal carcere scoprì che le sue opere erano finite nella lista nera del maccartismo e solo grazie a un intervento del presidente Eisenhower, sarebbero tornate nelle biblioteche pubbliche del paese. Ma, come ricorda Richard Layman, in “Shadow Man, vita di Dashiell Hammett” (Mondadori, 2010), alla fine dei suoi giorni, e malgrado l’opposizione dell’ Fbi, lo scrittore ottenne di essere seppellito, come voleva, nel cimitero degli eroi di Arlington. Guido Caldiron, Liberazione, 04/09/2010.
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