L’UOMO D’AFFARI
mercoledì, 30 giugno 2010
L’UOMO D’AFFARI
Il quarto pianeta era abitato da un uomo d’affari. Questo
era così occupato che non alzò neppure la testa all’arrivo del piccolo
principe. Buon giorno, gli disse questi. La vostra sigaretta è spenta. Tre più
due fa cinque. Cinque più sette: dodici. Dodici più tre: quindici. Buon giorno.
Quindici più sette fa ventidue. Ventidue più sei: ventotto. Non ho tempo per
riaccenderla. Ventisei più cinque trentuno. Ouf! Dunque fa cinquecento e un
milione seicento ventiduemila settecento trentuno. Cinquecento milioni di che?
Hem! Sei sempre lì? Cinquecento e un milione di… non lo so più. Ho talmente da
fare! Sono un uomo serio, io, non mi diverto con delle frottole! Due più
cinque: sette… Cinquecento e un milione di che? Ripeté il piccolo principe che
mai aveva rinunciato a una domanda una volta che l’aveva espressa. L’uomo
d’affari alzò la testa: Da cinquantaquattro anni che abito in questo pianeta
non sono stato disturbato che tre volte. La prima volta è stato ventidue anni
fa, da una melolonta che era caduta chissà da dove. Faceva un rumore spaventoso
e ho fatto quattro errori in una addizione. La seconda volta è stato undici
anni fa per una crisi di reumatismi. Non mi muovo mai, non ho il tempo di
girandolare. Sono un uomo serio, io. La terza volta… eccolo! Dicevo dunque
cinquecento e un milione. Milioni di che? L’uomo d’affari capì che non c’era
speranza di pace. Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta
nel cielo. Di mosche? Ma no, di piccole cose che brillano. Di api? Ma no. Di
quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni. Ma sono un uomo
serio, io! Non ho il tempo di fantasticare. Ah! Di stelle? Eccoci. Di stelle. E
che ne fai di cinquecento milioni di stelle? Cinquecento e un milione
seicentoventiduemilasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo
preciso. E che te ne fai di queste stelle? Che cosa me ne faccio? Sì. Niente.
Le possiedo. Tu possiedi le stelle? Sì. Ma ho già veduto un re che… I re non
possiedono. Ci regnano sopra. E’ molto diverso. E a che ti serve possedere le
stelle? Mi serve ad essere ricco. E a che ti serve essere ricco? A comprare
altre stelle, se qualcuno ne trova. Questo qui, si disse il piccolo principe,
ragiona un po’ come il mio ubriacone. Ma pure domandò ancora: Come si può
possedere le stelle? Di chi sono? Rispose facendo stridere i denti l’uomo
d’affari. Non lo so, di nessuno. Allora sono mie che vi ho pensato per il
primo. E questo basta? Certo. Quando trovi un diamante che non è di nessuno, è
tuo. Quando trovi un’isola che non è di nessuno, è tua. Quando tu hai un’idea
per primo, la fai brevettare, ed è tua. E io possiedo le stelle, perché mai
nessuno prima di me si è sognato di possederle. Questo è vero, disse il piccolo
principe. Che te ne fai? Le amministro. Le conto e le riconto, disse l’uomo
d’affari. E’ una cosa difficile, ma io sono un uomo serio! Il piccolo principe
non era ancora soddisfatto. Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso
metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso
cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle. No,
ma posso depositarle in banca. Che cosa vuol dire? Vuol dire che scrivo su un
pezzetto di carta il numero delle mie stelle e poi chiudo a chiave questo
pezzetto di carta in un cassetto. Tutto qui? E’ sufficiente. E’ divertente,
pensò il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non è molto serio. Il
piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei
grandi. Io, disse il piccolo principe, possiedo un fiore che innaffio tutti i
giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane.
Perché spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai. E’ utile ai miei
vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle
stelle… L’uomo d’affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il
piccolo principe se ne andò. Decisamente i grandi sono proprio straordinari, si
disse semplicemente durante il viaggio. -Antoine De Saint-Exupéry-
IL CIELO E’ DI TUTTI
Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi,
di ogni occhio è il cielo intero.
E’ mio, quando lo guardo.
E’ del vecchio, del bambino,
del re, dell’ortolano,
del poeta, dello spazzino.
Non c’è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.
-Gianni Rodari-
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