BUAGGINE
sabato, 30 gennaio 2010
BUAGGINE
Siamo noi marxisti? Esistono marxisti? Buaggine, tu sola sei immortale. La
questione sarà probabilmente ripresa in questi giorni, per la ricorrenza del
centenario, e farà versare fiumi d’inchiostro e di stoltezze. Il vaniloquio e
il bizantinismo sono retaggio immarcescibile degli uomini. Marx non ha scritto
una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filsa di parabole
gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute, fuori delle
categorie del tempo e di spazio. Unico imperativo categorico, unica norma:
Proletari di tutto il mondo unitevi. Il dovere dell’organizzazione, la
propaganda del dovere di organizzarsi e associarsi, dovrebbe dunque essere
discriminante tra marxisti e non marxisti. Troppo poco e troppo: chi non
sarebbe marxista? Eppure così è: tutti sono marxisti, un po’,
inconsapevolmente. Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non
perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia
una visione originale della storia, ma perché il frammentario, l’incompiuto,
l’immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza. La
consapevolezza sua personale può diventare di tutti, è già diventata di molti:
per questo fatto egli non è solo uno studioso, è un uomo d’azione; è grande e
fecondo nell’azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo,
così come hanno trasformato il pensiero. Marx significa ingresso
dell’intelligenza nella storia dell’umanità, regno della consapevolezza. La sua
opera cade proprio nello stesso periodo in cui si svolge la grande battaglia
tra Tomaso Carlyle ed Erberto Spencer sulla funzione dell’uomo nella storia.
Carlyle: l’eroe, la grande individualità, mistica sintesi di una comunione
spirituale, che conduce i destini dell’umanità verso un approdo sconosciuto,
evanescente nel chimerico paese della perfezione e della santità. Spencer: la
natura, l’evoluzione, astrazione meccanica e inanimata dell’uomo. L’uomo: atomo
di un organismo naturale, che obbedisce a una legge astratta come tale, ma che
diventa concreta, storicamente, negli individui: l’utile immediato. Marx si
pianta nella storia con la solida quadratura di un gigante: non è un mistico né
un metafisico positivista; è uno storico, è interprete dei documenti del
passato, di tutti i documenti, non solo di una parte di essi. Era questo il
difetto intrinseco delle storie, delle ricerche sugli avvenimenti umani:
esaminare e tener di conto solo di una parte dei documenti. E questa parte
veniva scelta non dalla volontà storica, ma dal pregiudizio partigiano, tale
anche se inconsapevole e in buona fede. Le ricerche avevano come fine non la
verità, l’esattezza, la ricreazione integrale della vita del passato, ma il
rilievo di una particolare attività, il mettere in valore una tesi
aprioristica. La storia era solo dominio delle idee. L’uomo era considerato
come spirito, come coscienza pura. Due conseguenze erronee derivavano da questa
concezione: le idee messe in valore erano spesso solamente arbitrarie,
fittizie. I fatti cui si dava importanza erano aneddotica, non storia. Se
storia fu scritta, nel senso reale della parola, si dovette ad intuizione
geniale di singoli individui, non ad attività scientifica sistematica e
consapevole. Con Marx la storia continua ad essere dominio delle idee, dello
spirito, dell’attività cosciente degli individui singoli od associati.
Ma le idee, lo spirito, si
sustanziano, perdono la loro arbitrarietà, non sono più fittizie astrazioni
religiose o sociologiche. La sostanza loro è nell’economia, nell’attività
pratica, nei sistemi e nei rapporti di produzione e di scambio. La storia come
avvenimento è pura attività pratica ( economica e morale ). Un’idea si realizza
non in quanto logicamente coerente alla verità pura, all’umanità pura ( che
esiste solo come programma, come fine etico generale degli uomini ), ma in
quanto trova nella realtà economica la sua giustificazione, lo strumento per
affermarsi. Per conoscere con esattezza quali sono i fini storici di un paese,
di una società, di un aggruppamento importa prima di tutto conoscere quali sono
i sistemi e i rapporti di produzione e di scambio di quel paese, di quella
società. Senza questa conoscenza si potranno compilare monografie parziali,
dissertazioni utili per la storia della cultura, si coglieranno riflessi
secondari, conseguenze lontane, non si farà però storia, l’attività pratica non
sarà enucleata in tutta la sua solida compattezza. Gli idoli crollano dal loro
altare, le divinità vedono dileguarsi le nubi d’incenso odoroso. L’uomo acquista
coscienza della realtà obiettiva, si impadronisce del segreto che fa giocare il
succedersi reale degli avvenimenti. L’uomo conosce se stesso, sa quanto può
valere la sua individuale volontà, e come essa possa essere resa potente in
quanto, ubbidendo, disciplinandosi alla necessità, finisce col dominare la
necessità stessa, identificandola col proprio fine. Chi conosce se stesso? Non
l’uomo in genere, ma quello che subisce il giogo delle necessità. La ricerca
della sostanza storica, il fissarla nel sistema e nei rapporti di produzione e
di scambio, fa scoprire come la società degli uomini sia scissa in due classi.
La classe che detiene lo strumento di produzione conosce già necessariamente se
stessa, ha la coscienza, sia pur confusa e frammentaria, della sua potenza e
della sua missione. Ha dei fini individuali e li realizza attraverso la sua
organizzazione, freddamente, obiettivamente, senza preoccuparsi se la sua
strada è lastricata di corpi estenuati dalla fame, o dei cadaveri dei campi di
battaglia. La sistemazione della reale casualità storica acquista valore di
rivelazione per l’altra classe, diventa principio d’ordine per lo sterminato
gregge senza pastore. Il gregge acquista consapevolezza di sé, del compito che
attualmente deve svolgere perché l’altra classe si affermi, acquista coscienza
che i suoi fini individuali rimarranno puro arbitrio, pura parola, velleità
vuota ed enfatica finché non avrà gli strumenti, finché velleità non sarà
diventata volontà. Volontarismo? La parola non significa nulla, o viene usata
nel significato di arbitrio. Volontà, marxisticamente, significa consapevolezza
del fine, che a sua volta significa nozione esatta della propria potenza e dei
mezzi per esprimerla nell’azione. Significa pertanto in primo luogo
distinzione, individuazione della classe, vita politica indipendente da quella
dell’altra classe, organizzazione compatta e disciplinata ai fini propri
specifici, senza deviazioni e tentennamenti. Significa impulso rettilineo verso
il fine massimo, senza scampagnate sui verdi prati della cordiale fratellanza,
inteneriti dalle verdi erbette e dalle morbide dichiarazioni di stima e
d’amore. Ma è inutile l’avverbio marxisticamente, e anzi esso può dare luogo ad
equivoci e ad inondazioni fatue e parolaie. Marxisti, marxisticamente…
aggettivo e avverbio logori come monete passate per troppe mani. Carlo Marx è
per noi maestro di vita spirituale e morale, non pastore armato di vincastro.
E’ lo stimolatore delle pigrizie mentali, è il risvegliatore delle energie
buone che dormicchiano e devono destarsi per la buona battaglia. E’ un esempio
di lavoro intenso e tenace per raggiangere la chiara onestà delle idee, la
solida cultura necessaria per non parlare a vuoto, di astrattezze. E’ blocco
monolitico di umanità sapiente e pensante, che non si guarda la lingua per
parlare, non si mette la mano sul cuore per sentire, ma costruisce sillogismi
ferrati che avvolgono la realtà nella sua essenza, e la dominano, che penetrano
nei cervelli, fanno crollare le sedimentazioni di pregiudizio e di idea fissa,
irrobustiscono il carattere morale. Carlo Marx non è per noi il fratolino che
vagisce in culla o l’uomo barbuto che spaventa i sacrestani. Non è nessuno
degli episodi aneddotici della sua biografia, nessun gesto brillante o
grossolano della sua esteriore animalità umana. E’ un vasto e sereno cervello
pensante, è un momento individuale della ricerca affannosa secolare che
l’umanità compie per acquistare coscienza del suo essere e del suo divenire,
per cogliere il ritmo misterioso della storia e far dileguare il mistero, per
essere più forte nel pensare e operare. E’ una parte necessaria ed integrante
del nostro spirito, che non sarebbe quello che è se egli non avesse vissuto,
non avesse pensato, non avesse fatto scoccare scintille di luce dall’urto delle
sue passioni e delle sue idee, delle sue miserie e dei suoi ideali.
Glorificando Carlo Marx nel centenario della sua nascita, il proletariato
internazionale glorifica se stesso, la sua forza cosciente, il dinamismo della
sua aggressività conquistatrice che va scalzando il dominio del privilegio, e
si prepara alla lotta finale che coronerà tutti gli sforzi e tutti i sacrifizi.
*Antonio Gramsci: Il nostro Marx, Il Grido del Popolo,4 maggio 1918.
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ITALIA MIA
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