INFINITO VIOLA
5 DICEMBRE 2009
INFINITO VIOLA
La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza. È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata” (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare. La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L’elenco dei fatti che l’attestano sarebbe lungo ma è noto. Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse;
alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro
sempre più capillare e garantita
penetrazione economica e sociale; mito della governabilità
a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva
riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione
tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da
parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di
imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del
costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni
dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria
opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti. Di questo degrado
che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno
è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la
valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di
essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio
intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle
opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi
molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte
lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva
“eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista.
Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni
storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto
ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può
persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi
pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei
principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto
gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano
la stampa democratica mondiale. Il senso della realtà deve però condurci a
prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e
recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi
decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente
qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della
gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni
del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile
strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente. Ci
attendiamo non una politica che dica “cose nuove ma non giuste”, secondo la
prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete
“cose giuste ma non nuove”. È invece indispensabile che “giusto e nuovo” stiano
insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e
realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura,
unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia,
giustizia e pace. Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza.
Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città
terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi
giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e
dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana
per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa
speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si
levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà.
Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro
che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici,
dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà
e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e
dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede,
dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica
democratica. L’appello è invito a dialogare al di là della dialettica e
conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei
suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni
propagandistiche, né di beghe di basso profilo. L’attuale emergenza e la
memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente
insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile
deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie
battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica,
il bene supremo di un’Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo
“libera e democratica”.
-Mons. Gianfranco Bottoni,
Milano 3 novembre 2009-
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