OTTIMISMO

venerdì, 13 novembre 2009

OTTIMISMO

BICEFALO 




Vuoto o con il cervello? E … il cuore?

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Fino a quando l’uomo è dominato da forze superiori e oscure, l’idea di una vita migliore risiede in due luoghi egualmente lontanissimi: dal presente nei primordi del mondo e alla fine della vita. Si spiega così l’ottimismo dei miti cosmogonici e delle prefigurazioni di vita al di là della morte. Per l’uomo dominato da forze superiori e oscure, la vita migliore fu e sarà, ma è escluso che sia, ora!  Un giorno l’idea della vita migliore abbandona le opposte e lontanissime frontiere della vita, e viene a collocarsi nel presente non appena ci liberiamo, finalmente, dalla sudditanza delle forze superiori ed oscure. Così leggo Alberto Savino: L’ottimismo rimane irreale, resta una illusione se prima non avviene la liberazione dalle superstizioni, se prima non avviene l’uguaglianza. Chi  lo professa,  lo consiglia,  lo ostenta, cerca di imporlo come stato d’animo diffuso nei sudditi, è quel monarca che tenta di rendere la sua tirannia immutabile e perpetua.
                              

                                     Canzon d’Amore secondo la vera filosofia.                                     
        Udite, amanti, il mio cantar. Sempr’era
l’Amor universal, s’egli Dio spinse
a far il mondo, e non forza o bisogno.
  La sua Possanza a tanta opra l’accinse,
  però che dentro a sua infinita spera
  la Prima Sapienza, ond’io ciò espongo,
   previde che potea starvi l’essenza
de’ finiti enti, e disse: – Or vi ripongo. -
   Ché Amor, a cui ogni essere è bontate
  ch’al Senno è veritate,
vita alla Potestate,
  l’antevista possibile esistenza
  repente amò: tal ch’e', c’ha dipendenza
  dal Senno e dal Poter, la volve a loro:
  ché poter e saper essi non ponno
quel che non vonno. Dunque insieme adoro
  Possanza, Senno, Amor, Primo Ente e Donno.
      Il perfetto animal, ch’or mondo è, pria
era confusion, quasi un grand’uovo,
  in cui la Monotriade alma parente,
  covando, espresse il gran sembiante nuovo.
  Però Necessità, Fato, Armonia
influendo, il Poter, l’Amor, la Mente
  sopiti sciolse a farsi, in membra tante,
  natura, fabbri intrinsechi e semente.
  Onde ogn’ente è perch’esser può, sa ed ama.
  Non può, ignora o disama
  chi al morir si richiama;
il che di vita in vita è gire errante,
  ché la spera vital sempr’è più innante.
  Ma le tre influenze abbreviâro
  il saper delle parti, ond’esse, incerte
degli altri esseri e vite, solo amâro
  la propria ed abborrîr di farsi esperte.
     Il Primo Ente divino, uno, immortale,
  tranquillo sempre, è l’infinito Bene,
  proprio oggetto adeguato del su’ Amore.
  Or, perché ogn’esser da quel primo viene,
  è buono e lieto oggetto naturale
  del proprio amor, talch’egli ama il Fattore,
se stesso amando, di cui è certa imago.
  E però s’ama d’infinito ardore,
  bramando farsi infinito ed eterno,
ché è tal l’Autor superno.
  contra ‘l morire in chi non è presago
  d’esser vicin più al Primo, ond’  Quinci nasce odio interno è sì vago,
  ch’anzi odiar sé, che lui, può, Bene immenso.
  Del ben il senso amor spira per tutto;
  ma alle parti mortai del male il senso,
  per parziale amor, l’odio ha produtto.
      Dio cosa nulla odia, ché affanno e morte
  da lor non teme; ma sua vita propia,
  da lor partecipata, in sé vagheggia,
  tutte avendo per buone, e bench’inopia
  di più sembianza sua nell’alme torte
  si dica odiar, e’ non langue o vaneggia,
  ch’indi e’ ben non mendìca, e n’ha a dovizia
  per sempre dar; ma il suo Fato pareggia,
  con ta’ detti odii e morti, l’Armonia
  di sua gran monarchia.
Né ‘l mondo, a chi ben spia,
  odia sue parti; ma prende a letizia
  lor guerre e morti, che fanno a giustizia
  in altre vite, dove gli è mestiero.
  Così il pan duolsi e muore, da me morso,
  per farsi e viver sangue, e questo io chiero;
  poi muore il sangue alla carne in soccorso.
      Cosa mala io non truovo a Dio ed al mondo,
  né téma o gelosia; ma da fiacchezza
  nacquero delle parti, o dal difetto
  di quel ch’a molti è gioia o sicurezza.
  Una comun materia ha il spazio tondo,
  di cui far regno amò, stanza e soggetto,
  ogni attivo valor per eternarsi.
  Dal che Necessità punse l’affetto
  del consimile a far lo stesso, e guerra
  pone il Fato, e disserra
  l’Armonia cielo e terra.
  Ecco lite d’amor per amor farsi.
  Con re il re pugna, non con Davo; ed arsi
  gli enti ha il fuoco, per fuoco amico farli;
  e la terra vorria che fusser sui.
  E dal non esser nasce il contrastarli;
  dall’esser, amicizia; e un di dui.
      Amor, che dal Valor e Senno Primo
  procede e lega que’ con dolce nodo,
  del sommo ben, ch’è l’esser suo mai sempre,
  è voluntate e gaudio sopra modo
  di sé a sé, sicur ben, sempre opimo.
  Amor, infuso del mondo alle tempre,
  del suo gaudio e comodo è pur desire,
  che del futuro mai non si distempre,
  ond’egli perda il sembiante divino.
  Ma l’amor, che ‘l destino
  fe’ alle parti meschino,
  più tosto è desiderio che gioire,
  del proprio ben, che va sempr’al morire.
  Amor dunqu’è piacer d’immortal vita
in tutti: ma chi in sé perderla sente,
la cerca altronde, e ‘l consiglio l’invita
a trovar via di non morir repente.
     L’Inopia dunque, pregna dal Consiglio,
regenera amor fieri, ardenza e fame,
cupidigia, appetito e zel di quelle
cose, ch’intraman della vita il stame.
Onde il sol mangia la terra, e di piglio
ella al ciel dà e vorria mangiar le stelle.
Fa di tal guerra e dir lor semi il Fato
spirti, umor, pietre, animai, piante; ed elle
mangiansi l’un l’altra: ove amor fassi
gioir, mentre rifassi
pian pian quel che disfassi.
Ché gioia del sentirsi esser serbato
atto è; e ‘l dolor, del sentirsi turbato,
cui sommo è ben la conservaz‹one
e sommo mal è lo distruggimento.
Però diciam le cose male o buone,
ch’a lor son via, cagion, mostra e fomento.
     Del nemico la fuga, o la vittoria,
e del cibo il restauro non bastando
ad eternar, il Senno amante, visto
che ‘l sol produce, la terra impregnando,
tante sembianze, revocò a memoria
l’arte divina, e ‘l mortal sesso misto
partìo in due, che sembra terra e sole,
servendosi del caso; ond’ha provvisto
che, d’essi uniti, Amor, per be’ lambicchi,
virtù vital dispicchi,
chi d’esser gli fa ricchi,
morendo in sé, nella futura prole,
per questo amata più ch’amante; e suole
qui Amor, vòlto in gioir, scordarsi il Senno,
come fan gli altri dell’Inopia figli,
seguendola in più e meno: onde vizi enno,
come virtuti son presso a’ consigli.
     Però, dovunque Amor del suo ben scorge
segnale alcun, che bellezza appelliamo,
pria che lasci pensar s’ivi s’asconda
il ben che ‘l serva, accorre; e qui pecchiamo,
ché fuor di tempo e luogo, o più o men porge
l’idea vitale, o in terra non feconda;
dove pur, preparata al gran fine, gioia
sentendo, in più error grande si profonda,
ch’ella d’Amor sia oggetto e fin sovrano,
non saggio e ésca e mezzano
del viver sempre. Ah insano
pensier, che ogni viltà produce e noia!
Né cieca legge smorza tanta foia,
ma il gran Saper, d’Amor viste ir l’antenne
al non morir: il che fra noi mancando,
all’alto volo gli veste le penne
d’eternità, ch’andiam quaggiù cercando.
     Visto gli eroi e filosofi più pruove
che ‘l cibo e ‘l generar fallano spesso,
e ‘l figlio tralignante perdé al padre,
invece di servar, l’esser commesso,
punti d’Amor divin (cui par che giove
più propagar le cose più leggiadre),
sprezzâr la parte per lo tutto; e ‘l seme,
pria in tutti gli enti la Bontà lor madre
mirando, amando han sparso, e le sembianza
di lor senno e possanza
(di Dio ampliati ad usanza
in tutto almen l’uman genere insieme),
in detti, in fatti ed opre alte e supreme.
E preser l’alme belle ad impregnare
di lor virtù, che trae di vaso in vaso
lor vita; ma pu manca a lungo andare,
ché solo Dio resiste ad ogni caso.
     Te, Amor, sfera infinita, alma e benigna,
che ‘n Ciel di copia, in noi d’inopia hai centro,
circondato dal cerchio sensitivo,
onde chi sente più, più ama e gode;
io, che son teco a tutte cose dentro,
canto, laudo e descrivo.
Per te si abbraccia il van le cose sode,
e le virtù la mole, onde consiste
dell’universo l’ordine, distinto
per te di stelle e d’uomini dipinto.
Per te si gira il sol, la terra piglia
vigor, onde poi tante cose figlia.
Per te contra la morte si resiste
e contra il mal, che tanto ci scompiglia.
Tu, autor di gentilezza,
distruttor di fierezza;
da ten son le repubbliche e gli regni
e l’amicizia, ch’è un amor perfetto,
che contra il male accomuna ogni bene.
Tu se’ d’eternità frate alla spene,
soprabbondanza di eterno diletto.
Tu vinci la Possanza e l’Intelletto.
- TOMMASO CAMPANELLA -


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