BRACCIANTE
domenica, 22 novembre 2009
BRACCIANTE
B I C E F A L O
VUOTO O CON IL CERVELLO?
E … IL CUORE?
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Giuseppe Di Vittorio nacque a Cerignola da poverissimi braccianti; Orfano a otto anni, interruppe la seconda elementare per andare a lavorare nei campi; a dodici anni entrò nel sindacato contadino; a quattordici anni fu eletto consigliere della Lega; a sedici era fondatore e segretario del Circolo Socialista di Cerignola, iniziando la sua precoce attività di dirigente politico e di organizzatore sindacale ( a venti anni era già dirigente della locale Camera del Lavoro), carriera contrassegnata, frequentemente, da carcere ed esilio. Fu, appunto in esilio – quando, nel 1914, dovette riparare in Svizzera dopo la Settimana Rossa – che , autodidatta, si dedicò accanitamente allo studio. Eletto deputato nel 1921, sotto il terrore fascista; passato dal Partito Socialista al Partito Comunista, con i terzinternazionalisti, nel 1924; condannato nel ‘27, in contumacia, a dodici anni di reclusione, combatte in Spagna, sostenitore dell’unità sindacale e fondatore, con Grandi e Lizzadri, della CGIL. Di se stesso, quando, in occasione del II Congresso della Cultura Popolare, un giornale cattolico volle ironizzare su lui, come “ rappresentativo “ della cultura popolare, egli disse: Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere del nostro paese …, quelle masse cioè alle quali le strutture sociali ingiuste ed inumane della nostra società negano la possibilità non solo della cultura, ma anche dell’istruzione elementare, e che ciò malgrado, però, vogliono, si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado che le loro capacità, le loro possibilità permettono di raggiungere, grado modesto che apre tuttavia la strada a nuovi e travolgenti progressi. Il giornale che più ha ironizzato è un giornale cattolico. Secondo questi signori – e questo è il significato dell’ironia – non è possibile, non è ammissibile che chi è nato bracciante, analfabeta, in una famiglia di analfabeti, possa accedere alla cultura. Essi lo negano ed io nego a mia volta che questa loro concezione retriva, reazionaria, inumana, abbia qualche cosa di cristiano.
M I S E R I A
Neri sotto la neve e nella bruma,
al grande sfiatatoio che s’accende,
colle natiche in cerchio,
cinque miseri bimbi ginocchioni
guardano il panettiere mentre intride
il pane greve e biondo.
Vedono il braccio bianco che con forza
gira la pasta grigia e poi l’inforna
dentro quel buco chiaro.
Ascoltano il buon pane che si cuoce.
Il Panettiere dal sorriso pingue
borbotta un motivetto.
Stan rannicchiati, senza un movimento,
dentro il soffio del rosso sfiatatoio
tiepido come un seno …
Quando, per qualche festino notturno,
un pane che somiglia a una brioscia
viene tolto dal forno;
quando, sotto le travi affumicate,
cantano quelle croste appetitose
in coro con i grilli,
e dal caldo pertugio alita vita,
un rapimento vero li rianima
sotto i miseri stracci;
quei poveri Gesù colmi di brina,
si sentono rinascere alla vita,
e stanno tutti lì,
coi rosei musetti appiccicati
alla griglia; borbottano qualcosa
attraverso quei buchi,
stupidamente, e dicon le preghiere
mentre si piegan verso quelle luci
del cielo riaperto,
con tanta forza da spaccar le brache
e da far tremolare la camicia
nella brezza invernale.
-Arthur Rimbaud-
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