INNO DI GARIBALDI

 

sabato, 21 novembre 2009

INNO DI GARIBALDI

 

B I C E F A L O



VUOTO  O  CON  IL  CERVELLO?  E … IL  CUORE?

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 Il patriota Gabriele Camozzi, di Bergamo, che si trovava in esilio a Genova, ricevette la visita di Giuseppe Garibaldi; vi erano nella sua casa altri patrioti e , fra essi, il poeta Luigi Mercantini, al quale il generale si rivolse, dicendo voi mi dovreste scrivere un inno per i miei volontari: lo canteremo andando alla carica. Il poeta aderì subito al desiderio di Garibaldi e compose il celebre inno, la musica fu scritta dal giovane maestro di banda militare Alessio Olivieri. La sera del 31 dicembre 1858 l’inno fu eseguito in casa Camozzi fra l’entusiasmo dei presenti. Cavour fu informato dall’Intendente generale di Genova e, in data 3 gennaio 1859, gli rispondeva: il Ministro invita l’Intendente generale a far capire agli uomini del Partito Nazionale che delle canzoni per liberare l’Italia ce ne sono già in numero soverchio e quindi il Ministro le considera, in chi le fa, come indizio che non coi fatti ma con vane parole intende giovare alla causa nazionale. Gli uomini seri, i giornali dovrebbero volgere in ridicolo questi vati che, senza avere l’ingegno di Tirteo, fuggono come lui.

INNO DI GARIBALDI

ALL’ARMI! ALL’ARMI!

Si scopron le tombe, si levano i morti,
I martiri nostri son tutti risorti,
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
La fiamma ed il nome d’Italia sul cor.
Corriamo! Corriamo! su O giovani schiere,
Su al vento per tutto nostre bandiere
Su tutti col ferro, su tutti col fuoco,
Su tutti col fuoco d’Italia nel cor.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

La terra dei fiori, dei suoni, dei carmi,
Ritorni qual’era la terra dell’armi;
Di cento catene ci avvinser la mano,
Ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone Tedesco l’Italia non doma;
Non crescon al gioco le stirpe di Roma:
Più Italia non vuole stranieri e tiranni,
Già troppo son gli anni che dura il servir.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!


Le case d’Italia son fatte per noi,
E là sul Danubio le case de’ tuoi;
Tu i campi ci guasti; tu il pane c’involi;
I nostri figliuoli per noi li vogliam.
Son l’Alpi e i due mari d’Italia i confini,
Col carro di fuoco rompiam gli Appennini,
Distrutto ogni sogno di vecchia frontiera
La nostra bandiera per tutto innalziam.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

Sien mute le lingue, sien pronte le braccia,
Soltanto al nemico volgiamo la faccia.
E tosto oltre i monti n’andrà lo straniero,
Se tutto un pensiero l’Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
Si chiudan ai ladri d’Italia le soglie;
Le genti d’Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola le cento Città.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

-LUIGI MERCANTINI-

Vedi: LETTERA AI GRANDI




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