ANTIFASCISMO PISANO

 ANTIFASCISMO PISANO

(Meditazione su: "Le radici dell'antifascismo pisano" di Italo Bargagna in "Ora e sempre: Resistenza". 50 anni di storia, testimonianze dei protagonisti e documenti della Provincia di Pisa e della Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Novembre 1991). 

Necessitano ricerche e studi atti a conoscere e valutare, nella realtà del momento storico in cui si svolsero, i fatti e gli episodi della lotta antifascista nel territorio della Provincia di Pisa. Lotta che non può essere confinata nel periodo 1943-1945, in quanto le sue radici risalgono alle origini ed alle prime manifestazioni di violenza fascista nella nostra Provincia.

Fin da allora, particolarmente tra i giovani militanti dei partiti democratici e tra quelli senza partito, si produsse un fermento, una rivolta ideale che si estrinsecò nella confusa, affannosa ricerca del modo migliore di opporsi validamente al sopruso, alle umiliazioni, alle violenze.

L'esito negativo dell'azione di difesa individuale o di gruppi tra loro isolati, indusse i giovani a sollecitare i partiti democratici a svolgere un'azione politica di decisa opposizione al fascismo; poi, constatata la mancanza di una vera volontà di opposizione alla marea montante della persecuzione, iniziarono la ricerca di una unità operativa capace di fronteggiare la violenza governativa e fascista.

I partiti politici, pur cercando di indirizzarla e controllarla, subirono l'iniziativa giovanile.

Furono costituiti gruppi di azione per la difesa dei cittadini, delle sedi dei partiti politici, delle organizzazioni culturali, ricreative e sindacali minacciate dalla violenza devastatrice.

I giovani repubblicani di Pisa, collegandosi con altre città italiane, costituirono raggruppamenti ispirati alle vecchie tradizioni del movimento democratico-rivoluzionario del periodo risorgimentale. In seguito organizzarono una sezione cittadina dell'Avanguardia Giovanile Repubblicana d'Italia che inquadrò, in formazioni di carattere quasi militare, alcune centinaia di giovani e decine di adulti.

L'azione isolata, spesso concorrente o contrastante dei gruppi di difesa e dell'Avanguardia Repubblicana, postulò ben presto l'esigenza di un'intesa politica che fu definita in incontri svoltisi nella sede della Camera Sindacale del Lavoro e del PRI. [Partito Repubblicano Italiano].

Fu il primo passo sulla strada di un avvicinamento politico ed umano tra socialisti, repubblicani ed anarchici, da tempo divisi da questioni ideologiche, politiche e personali.

Ma era ben poco di fronte alla violenta offensiva armata che il fascismo, compiacentemente aiutato dallo Stato anche con la diretta partecipazione delle forze dell'ordine, sviluppava contro le organizzazioni operaie ed i partiti politici.

I lavoratori avvertivano la necessità di una difesa più attiva, valida anche sul piano dello scontro violento: pertanto manifestarono la loro spontanea simpatia per l'iniziativa presa da un deputato socialista di costituire un'organizzazione armata da opporre al fascismo.

Nella sede di Pisa del Sindacato Ferrovieri e nella sede della Federazione Giovanile Repubblicana, con la partecipazione di alcuni dirigenti romani, si costituì il Comitato provinciale pisano per l'organizzazione degli "Arditi del Popolo".

Il movimento, pur conquistando un largo consenso popolare, non ebbe i previsti sviluppi, rimase circoscritto entro le vecchie mura di Pisa ed a pochissime località della Provincia. I limiti dell'organizzazione e del suo sviluppo furono in gran parte determinati dai comunisti, che dichiararono di mantenere i loro gruppi armati, e dalla opposizione dei vecchi dirigenti del Partito Repubblicano Italiano.

E' indubbio che, indipendentemente dalla capacità di lotta raggiunta dagli "Arditi del Popolo" e dai risultati delle poche azioni svolte, il tentativo valse a diffondere il convincimento che, in tempo più o meno breve, il popolo unito ed armato avrebbe sconfitto il fascismo e le forze che lo alimentavano e sostenevano.

Altro fatto politico di grande valore popolare e morale fu costituito dalla realizzazione nella nostra città dell'iniziativa nazionale di un fronte unico antifascista delle forze democratiche dei lavoratori.

Con l'adesione del Sindacato Ferrovieri, della Camera del Lavoro aderente alla Confederazione Generale, della Camera Sindacale aderente all'Unione Sindacale del Lavoro, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Italiano e di raggruppamenti di giovani repubblicani fu costituita la "Alleanza del Lavoro" che organizzò nella nostra Provincia, in ordine a direttive nazionali, lo sciopero politico generale per la difesa della democrazia e della legalità.

Dalla "Alleanza del Lavoro" furono costituiti comitati unitari per l'assistenza alle vittime politiche.

I gruppi di difesa, l'intesa politica dei giovani lavoratori, l'unità antifascista delle forze del lavoro, la "Avanguardia Repubblicana", gli "Arditi del Popolo", tanto a Pisa, come sul piano nazionale, non poterono validamente opporsi alla violenza fascista, né avevano la possibilità di impedire la marcia ascensionale della reazione scatenata alla conquista, al centro ed alla periferia, degli organi direzionali dello Stato.

La conquista dello Stato da parte del fascismo, l'ulteriore forza da questo impressa alla politica distruggitrice delle forze della democrazia politica e del lavoro, generò perplessità, sbigottimento, incertezza un po' in tutti i ceti: negli intellettuali, tra gli artigiani, tra i contadini e perfino tra gli operai. I partiti della piccola borghesia vissero ore drammatiche, i democratici del PPI [Partito Popolare Italiano] ruppero con i liberali che avevano favorito la costituzione delle "camicie azzurre", squadre di liberalnazionalisti organizzate sul tipo delle squadracce fasciste. Alcuni cattolici disapprovarono apertamente l'atteggiamento politico del PPI.

Nella Federazione pisana del Partito Repubblicano si acuirono i contrasti tra i giovani ed i vecchi repubblicani, i circoli mazziniani della periferia ruppero le relazioni con la Federazione, la stessa Federazione deliberò l'espulsione di un gruppo di iscritti avverso ad una politica di decisa opposizione al fascismo. Ma l'aspetto più negativo della questione era costituito dal disorientamento della popolazione che non guardava più con fiducia alle organizzazioni sindacali.

L'assassinio di Matteotti determinò, anche a Pisa, una grave crisi nel fascismo ed originò una nuova più forte condanna morale dei suoi metodi e delle sue prospettive politiche; ciò produsse una ripresa delle attività politiche delle forze della democrazia ma senza apprezzabili risultati.

Però, nonostante lo sconforto per le sconfitte subite, la volontà di ribellarsi alla illegalità, al supruso, alle violenze, si manifestò concretamente ancora una volta. Alcuni repubblicani, operando nelle zone d'influenza politica della Federazione pisana del Partito Repubblicano, riuscirono a costituire i quadri per la formazione di alcune centurie di volontari per l'organizzazione di una marcia su Roma da dove doveva partire il segnale per una rivoluzione democratica in tutto il nostro Paese. Successivamente, sul piano nazionale, l'idea della lotta aperta al fascismo fu abbandonata. Il peso della sconfitta dei lavoratori democratici si aggravò.

Le leggi eccezionali decretate dal Fascismo, lo scioglimento dei partiti e delle organizzazioni sindacali democratiche, accentuarono la diserzione: molti, troppi, abbandonarono la lotta. Pochi decisero di continuarla. Alcuni repubblicani, dopo avere tentato invano di riannodare le fila del partito costituendo circoli ricreativi culturali, curarono l'organizzazione clandestina, sviluppando il lavoro dei vecchi segreti raggruppamenti fino a portarli nella sfera d'azione di "Italia Libera". Alcuni socialisti si raccolsero in stretti gruppi di studio e di propaganda.

I comunisti, dopo un periodo di sbandamento, iniziarono una vivace attività clandestina di propaganda e proselitismo che dette vita ad un movimento comunista, forse ideologicamente incerto ma rispondente alle esigenze di una lotta a fondo contro il fascismo e la sua matrice. Nel volgere di alcuni anni il movimento si inquadrò nelle strutture organizzative del PCI. Organizzò cellule e gruppi in tutte le più importanti aziende di lavoro ed in molte piccole e grandi località della Provincia.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 28 Agosto 2024 h.09,56)


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ANTICOMUNISMO                                         
(Ricordo da un racconto di Ariella)
"In Italia essere anticomunisti 
significa rinnegare le origini della Carta Costituzionale 
della Repubblica democratica nata dalla Resistenza. 
Un esempio, tra quelli innumerevoli, è Luigi Longo: 
Patriota comunista, eroico antifascista, 
decorato dal generale americano Mark Clark, 
a nome del Presidente degli Stati Uniti, 
con la seguente motivazione: "Egli lanciò il grande peso 
del potente partito del quale era un dirigente 
nella battaglia per la liberazione del suo paese. 
Con tutte le sue forze si prodigò 
per l'unificazione dei gruppi antifascisti e antitedeschi, 
consentendo la formazione di un unico fronte di lotta 
contro il comune nemico. Firmato: Henry Truman". 
Altro esempio, tra quelli innumerevoli è Umberto Terracini 
Presidente dell'Assemblea Costituente, per non parlare 
di Antonio Gramsci e di Palmiro Togliatti, eccetera.
Falsificare la storia 
equiparando il fascismo al comunismo italiano significa, 
non solo falsificare la storia, 
ma commettere un crimine politico.
Consiglio di leggere il libro: 
“Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana” 
in cui Zagrebelsky tra altro scrive che 
le lettere contengono la voce di uomini e donne, 
appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, 
consapevoli del dovere della libertà 
e del prezzo ch'essa, in momenti estremi, comporta". 
-Renzo Mazzetti- (Lunedì 5 Febbraio 2018 h.06,34)


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