UN CUNEESE EMIGRATO NELLA REPUBBLICA TIGRATA

mercoledì, 31 luglio 2019

UN CUNEESE EMIGRATO NELLA REPUBBLICA TIGRATA

La GAZZETTA DEL BARBIERE ha, in prima pagina, la fotografia del carabiniere assassinato; nella rubrica Lettere Storiche, sotto il titolo “Un cuneese emigrato nella repubblica tigrata” pubblica la lettera di Vanzetti del 24 Settembre 1926 a Vittorio Vidali. Ascanio legge ad alta voce il testo: Carissimo, oggi mi fu recapitata la tua buona lettera del 14 m.c. Ti ringrazio di essa ed anche delle misure che hai preso per fare recapitare la mia lettera al buon Barba di Rame, nelle sue proprie mani, anziché in quelle dei suoi ferocemente vili persecutori. Mi dici che “la mia lunga e dettagliata lettera sulla situazione attuale della causa ha fatto comprendere molte cose a coloro che volevano o desideravano dormire”. Fosse vero! Appunto perché l’aveva reputata utile, la scrissi. E perciò la vidi con piacere, riprodotta nel Lavoratore, e su qualche giornale italiano d’Italia. Tu speri e confidi e, aggiungo io, vuoi la vittoria. Speranza e confidenza sono un bene, perché senza di esse lo spirito dell’uomo si abbatte, vinto, come dinanzi ad una ineluttabile, insuperabile fatalità, contro la quale tutti i conati sono vani. E si dà per vinto. Io, invece, prevedo la sconfitta imminente. Prevedo che Thayer ci negherà un nuovo processo; credo che la plutocrazia e la Corte Suprema del Mass, gli abbiano già suggerito ciò, dicendogli che la seconda giustificherà il suo responso qualora la difesa ricorresse ad essa; e so che se Thayer rifiuterà anche questa volta, noi saremo definitivamente liquidati, almeno in ciò che concerne la magistratura di questo Stato. Ma ciò nonostante io compio lo stesso quel poco che posso, mi difendo ed attacco perché il combattere anche quando si sa di essere fisicamente vinti, mi pare sublime manifestazione di superiore coraggio, mi inebria e mi esalta, mi da la sensazione che, perdendo in tal modo, preparo al nemico ulteriori sconfitte, ben più gravi, vaste e decisive della piccola e infame sua vittoria attuale. [Ascanio continua a leggere in silenzio, Foresto gli dà un colpetto eloquente sulla spalla, e allora riprende ad alta voce] … A volere la nostra libertà non c’è che il proletariato rivoluzionario del mondo. I compagni, i congiunti e gli amici. Ma qui, in questa repubblica tigrata, il grosso del popolo se ne strafotte altamente di noi e di tutti i prigionieri politici del mondo. E ciò sanno i nostri nemici … Il proletariato d’Europa e dell’America latina, vive la nostra agonia e la nostra passione, e freme, ma ha sul collo il tacco ferrato della reazione, o Prometeo incatenato [Mitico gigante che rubò il fuoco agli dei e lo donò agli uomini e per questo fu incatenato da Zeus sul Caucaso dove un'aquila doveva rodergli il fegato in eterno] … E la plutocrazia nord-americana può sfogare su di noi la sua libidine di sangue. E va bene. Dall’altra parte della barricata si ride, si folleggia, si fa dell’eroismo a buon mercato, sicuri che il loro turpe, feroce e vilissimo Iddio, fatto a loro immagine e somiglianza, tiene la sua santa mano sul loro capo. E sia. Noi combatteremo fino all’ultimo e sapremo anche morire. Ormai ci siamo familiarizzati con una vita peggiore della morte e con la morte stessa. Vili non lo saremo mai. E per ora fo punto. Abbiti sinceri saluti. Tuo Bartolomeo Vanzetti. Vera, la compagna di Foresto, scuote la testa mentre insapona la barba a Eligio. (Ricordo da un racconto di Tirella).

 

SACCO E VANZETTI [*parte di REDENTORE]

 

Il ventidue di agosto a Boston in America

Sacco e Vanzetti van sulla sedia elettrica

E con un colpo di elettricità

All’altro mondo li voller mandà…

Vedi:

 

 

VENETI SCIALAKASCIA ITALICI


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