SAN ROMANO

martedì, 18 settembre 2018

SAN ROMANO

Quando ero giovane abitavo a San Romano, piccolo paese pisano. In pochi chilometri quadrati, attraversati dalla strada Nazionale 67 in alto e dalla Provinciale in basso esistevano, se ben ricordo: tre circoli ricreativi, una casa del popolo, quasi tutti i partiti, tre o cinque giornali murali, l’ambulanza pubblica, sei bar, tre o quattro sali e tabacchi valori bollati telefono, una farmacia, un cimitero, un medico e una ostetrica condotti, un ufficio postale, un postino, due carabinieri che pattugliavano in bicicletta con il moschetto a tracolla, una chiesa santuario con un alto campanile un grande convento con tanti frati, un bosco, un asilo con molte suore, una scuola elementare comunale, una banca, cinque botteghe di alimentari, quattro negozi di barbiere, una parrucchiera, due negozi di orologiaio-orefice, ferramenta, il fiume Arno con tanti pescatori e spiaggia con tanti bambini, una stazione ferroviaria e autobus, un taxi, un campo sportivo e la squadra di calcio, un distributore di miscela e benzina, due sarti, due ciabattini, un arrotino-stagnino-ombrellaio, il procaccia che passava a domicilio, la pescivendola con la cesta sulla bicicletta, tre-quattro macellerie, un albergo; varie altre attività artigianali: un ortolano, un paio di meccanici, carrozzeria, pastificio, due panifici, calzaturifici, concerie, un costruttore di biciclette. Due commendatori. Ieri ci sono ritornato e mi si è avvizzito il cuore. Spirito argento vivo di un piccolo paese da tempo disperso. (Ricordo da un racconto di Bicefalo).

COMPAGNOCANE
Scappammo agili e veloci.
Il cuore mi batteva nella gola
ma non era paura:
era l'improvviso capitato
e per la tesa attenzione
di non perdere il pennello
e di non versare la bianca vernice
in mezzo alla strada.
Trovai un angolo di casa
protetto dall'ombra
di un vicino lampione, svoltai ma,
ancora non mi sentivo nascosto bene.
Andai più avanti addentrandomi nell'oscurità.
Ah, finalmente!
Posai il secchio, appoggiai il pennello,
agguantando i bordi della cintura, tirai su i pantaloni
che nella corsa erano scesi troppo sotto all'ombelico.
Gli occhi ancora vedevano il niente:
l'oscurità mi avviluppava con dei brividi lungo la schiena
con gocce di sudore che scivolavano raffreddandosi.
Poi, piano piano,
grazie ad un pezzetto di Luna bianca
che sbirciò dal bordo di una nuvola, ritrovai la vista.
Ed ecco, all'improvviso il respiro si bloccò
prima ancora di realizzare
nel video del cervello la forma di un cane.
Cane!?
Che ci fa qui un cane? Accidenti!
Ora ci si mettono anche gli animali!
Ma, sorpresa: i miei occhi sbarrati
entrarono negli occhi sbarrati del cane,
si scrutarono paurosi, sospettosi, curiosi;
alcune scintille di sguardo
si scontrarono addirittura gioiose;
pensai mille cose, una, tra tutte, la più terribile: abbaiare?
Abbaiare! No!
Ti prego, cane, pensai allarmato, ti prego: non abbaiare.
Negli occhi non più la paura, il sospetto, la curiosità;
negli occhi vidi riflessi i miei occhi
e dagli aguzzi denti immaginai un sorriso;
si voltò, silenzioso si accomodò nella sua cuccia.
Ti ringrazio Compagnocane.
Ripresi il secchio e il pennello,
ritornai sull'incrocio, mentre la pattuglia si allontanava,
sull'asfalto scrissi: IL CHE VIVE.
-Renzo Mazzetti-
(Ottobre 1967)

Vedi:

ARMA CIECA (9 Settembre 2018)




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