I PRIMI ALBANESI NEL PISANO

 

sabato, 17 marzo 2018

I PRIMI ALBANESI NEL PISANO

 

 

Nel piccolo paese si conoscevano tutti da sempre. Dopo la guerra arriva il primo siciliano, Carmelo, si sposta (eretto come sull’attenti) con la bicicletta, robusto di corporatura, aria fiera, neri baffoni, sorriso gioviale, grande lavoratore di vimini, ha una bella moglie fine, mora, sorridente, due figlie piccole che in classe stentiamo a capire. Subito dopo arrivano quelli da Roma fino allo stretto di Messina. Bravissimi. Lavorano subito nelle concerie, nei calzaturifici, nell’edilizia. I loro figli (quando parlano veloce) si capiscono poco. Dopo un po’ ecco i veneti e qualche genovese. I veneti lavorano i poderi abbandonati, i genovesi impiegati in negozi e uffici. Tutti e due parlano con cadenze particolari che si capiscono appena, ma tante parole, per noi, sono sconosciute. Dopo qualche anno è la volta dei primi albanesi. Stanno seduti davanti alla Casa del Popolo e quando parlano tra di loro non si capisce nulla, però dagli atteggiamenti, risolini, sguardi, parole in italiano, infastidiscono le donne e beffeggiano gli anziani. Perciò interviene il Presidente in modo risoluto: “Smettetela di dare fastidio a tutti, altrimenti chiamo i Carabinieri! (Ricordo da un racconto di Ariella).

 

DECORO UNIVERSALE

 

L’infante del popolo poco sapeva

 

ma l’insegnamento ricordava:

 

ascoltare l’impulso e i tuoi esperti,

 

quelli di età più grandi

 

e di anni pericolosi vissuti.

 

“Ho fatto la Resistenza!”,

 

ti dicevano in ogni introduzione.

 

Allora, per capire, forse,

 

e per quanto non insegnato più:

 

l’italiano, la storia e la geografia,

 

il vecchio odierno:“Ho fatto il ‘68!”;

 

ho fatto “l’Autunno Caldo!”.

 

Peccato: del ‘68, agli studenti,

 

nulla è rimasto, anzi!

 

Dell’Autunno caldo, agli operai,

 

nulla è rimasto, anzi!

 

Si è avverato il grido ribelle:

 

“Operai e studenti uniti nella lotta!”.

 

Dalla sconfitta della lotta di classe:

 

istruzione pubblica distrutta;

 

dell’Autunno caldo l’operaio vive,

 

ancora (per poco) dignitosamente,

 

tradito, deluso, rapinato pensionato.

 

Perché?

 

Non più popolo ma povero singolo,

 

beffeggiato e miseramente diviso,

 

senza partito sfruttato e deriso.

 

-Renzo Mazzetti-

 

(15 Marzo 2018)

 

Vedi: LA SALVEZZA  (6 Marzo 2018)

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