IL PICCOLO GRADASSO
lunedì, 13 novembre 2017
IL PICCOLO GRADASSO
Ripido e scosceso è il castello, che non vi può salir chi
non è uccello. Mentre io mi attardavo, arrivano due cavalieri che avevano per
guida un nano. Erano guerrieri di grande ardimento: uno era Gradasso il re
saraceno di Sericana, l’altro Ruggier, giovane e forte, molto pregiato
nell’africana corte. Sopra Gradasso il mago l’asta rompe; ferì Gradasso il
vento e l’aria vana: per questo il volator non interrompe il batter l’ale, e
quindi s’allontana. Il grave scontro fa chinar le groppe sul verde prato alla
gagliarda alfana. Gradasso avea una alfana, la più bella e la miglior che mai
portasse sella. Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante, quivi è Prasildo, il
nobil cavalliero che con Rinaldo venne di Levante, e seco Iroldo, il par
d’amici vero. (Ma, verso la fine) Giunse il pricipe d’Anglante fatta avea
l’utile opra e gloriosa: avea Gradasso ucciso e Agramante, ma con dura vittoria
e sanguinosa. Andarono i servi alla città distrutta, e di Gradasso e
d’Agramante l’ossa ne le ruine ascoser di Biserta, e quivi divulgar la cosa
certa. Sentir lui morto il gaudio va scemando sì, che non ponno asserenare il
volto. Or chi sarà di lor ch’annunzio voglia a Fiordiligi dar sì gran doglia?
Foresto interrompe la lettura: vieni tocca a te. Ascanio posa l’Orlando furioso
e dice: oggi lascia stare la barba, fammi solo i capelli con sfumatura bassa e
basette non troppo lunghe. Regolari? Regolari. (Ricordo da un racconto di Bicefalo).
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