FISCHI E FIASCHI
sabato, 11 giugno 2016
FISCHI E FIASCHI
C’era una volta il regno del barbarismo: il pensiero non esisteva, la logica e il punto di domanda non si sapeva dov’erano, il cuore batteva e basta, la semplificazione e l’apparenza imperversavano. “E’ il tempo di andare avanti”, gridava il giovane governante. Nessuno si domandava: dove? E, più di tutto, per chi e per che cosa? Undici milioni di persone soffrivano per la povertà: malattia sociale più diffusa e cibo prelibato del capitale. I ricchi più erano ricchi e più stavano attenti che non cadesse neppure una briciola dai loro averi. Nell’antichità i genitori che facevano tanti sacrifici per far studiare i loro figli venivano ricambiati con un po’ di riconoscenza, invece, anche i medici e gli insegnanti erano diventati dei precari sottopagati, gli artigiani e gli operai scomparsi. I suicidi, più o meno nascosti, erano all’ordine del giorno. Dominava la dittatura dei fischi e fiaschi, delle lucciole e lanterne dove i figli erano gli oppressori dei genitori e le donne venivano bruciate dagli uomini. (Ricordo da un racconto di Irina).
CONTESSA (parte)
Sapesse contessa che cosa mi ha detto un caro parente
dell’occupazione, che quella gentaglia rinchiusa là dentro di libero amore
facea professione. Del resto, mia cara di che si stupisce, anche l’operaio vuole
il figlio dottore e pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale
contessa.
Vedi: LIBERA GIUSTIZIA (6 maggio 2016)
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