IL BURLO

 

sabato, 17 ottobre 2015

IL BURLO

L’appetito vien mangiando, motteggiavano le bocche: le semplici masticando il cibo, quelle onorevoli il benessere. Tutte uguali, diversamente complici. Nel profondo eterno, il piatto di lenticchie e quello dell’oro, non avevano alcun significato. La democrazia, senza la partecipazione, era una metafora tiranna. Nell’era dell’Eloquenza, il linguaggio fu contagiato dal Taciuto. Il periodo intercorso tra l’Eloquenza e il Taciuto fu denominato il Burlo. Per difendere la Costituzione citavano Calamandrei. Il Taciuto era il comunista. Ora e sempre Resistenza: un verso di una sua poesia. Il sogno della ragione vittoriosa, il Burlo. (Ricordo da un racconto di Tirella).

COMPAGNOCANE
Scappammo agili e veloci. Il cuore mi batteva nella gola
ma non era paura: era l’improvviso capitato
e per la tesa attenzione di non perdere il pennello
e di non versare la bianca vernice in mezzo alla strada.
Trovai un angolo di casa protetto dall’ombra di un vicino lampione,
svoltai, ma ancora non mi sentivo nascosto bene.
Andai più avanti addentrandomi nell’oscurità.
Ah, finalmente! Posai il secchio, appoggiai il pennello,
agguantando i bordi della cintura, tirai su i pantaloni
che nella corsa erano scesi troppo sotto all’ombelico.
Gli occhi ancora vedevano il niente: l’oscurità mi avviluppava
con dei brividi lungo la schiena, con gocce di sudore
che scivolavano raffreddandosi. Poi, piano piano,
grazie ad un pezzetto di Luna bianca
che sbirciò dal bordo di una nuvola, ritrovai la vista.
Ed ecco, all’improvviso il respiro si bloccò
prima ancora di realizzare nel video del cervello
la forma di un cane. Cane!? Che ci fa qui un cane?
Accidenti!
Ora ci si mettono anche gli animali! Ma, sorpresa:
i miei occhi sbarrati entrarono negli occhi sbarrati del cane,
si scrutarono paurosi, sospettosi, curiosi;
alcune scintille di sguardo si scontrarono addirittura gioiose;
pensai mille cose, una, tra tutte, la più terribile: abbaiare?
Abbaiare! No!
Ti prego, cane, pensai allarmato, ti prego: non abbaiare.
Negli occhi non più la paura, il sospetto, la curiosità;
negli occhi vidi riflessi i miei occhi
e dagli aguzzi denti immaginai un sorriso;
si voltò, silenzioso si accomodò nella sua cuccia.
Ti ringrazio Compagnocane.
Ripresi il secchio e il pennello, ritornai sull’incrocio,
mentre la pattuglia si allontanava, sull’asfalto scrissi:
IL CHE VIVE.
-Renzo Mazzetti- (19 dicembre 2009)

Vedi: CARATTERE CIRILLICO (22 settembre 2015)

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