PARSIMONIA
mercoledì, 9 novembre 2011
PARSIMONIA
La servitù chiede il vestiario e il vitto, occorre prendersi
cura di tanti ventri di animali avidissimi, bisogna comprare la veste e
sorvegliare mani rapacissime, e utilizzare i servigi di gente che piange e
maledice: quanto più felice colui che non deve nulla a nessuno, se non a chi
può rifiutare nel modo più facile, a se stesso! Ma dal momento che non abbiamo
tanta forza, almeno dobbiamo limitare i patrimoni, per esser meno esposti ai
capricci della sorte. La migliore misura del denaro è quella che né precipita
in povertà né si allontana molto dalla povertà. E a noi piacerà questa misura,
se prima ci sarà piaciuta la parsimonia, senza la quale non ci sono ricchezze
bastanti e con la quale invece tutte sono abbastanza estese, tanto più che il
rimedio è vicino e la stessa povertà può, chiamata in aiuto la frugalità,
tramutarsi in ricchezza. Abituiamoci a rimuovere da noi lo sfarzo e a misurare
l’utilità, non gli ornamenti delle cose. Il cibo domi la fame, le bevande la
sete, il piacere sia libero di espandersi entro i limiti necessari, impariamo a
sostenerci sulle nostre membra, ad atteggiare il modo di vivere e le abitudini
alimentari non alle nuove mode, ma come suggeriscono le tradizioni; impariamo
ad aumentare la continenza, a contenere il lusso, a moderare la sete di gloria,
a mitigare l’irascibilità, a guardare la povertà con obiettività, a coltivare
la frugalità anche se molti se ne vergogneranno, ad apprestare per i desideri naturali
rimedi preparati con poco, a tenere come in catene le speranze smodate e
l’animo che si protende verso il futuro, a fare in modo di chiedere la
ricchezza a noi piuttosto che alla sorte. Tanta varietà e ingiustizia di
accidenti non può mai essere allontanata così che molte tempeste non irrompano
su chi dispiega vele ampie; bisogna restringere le nostre sostanze affinché gli
strali della sorte cadano nel vuoto, e in questo modo talora gli esilii e le
calamità si sono mutati in rimedi e i danni più gravi sono stati sanati da
quelli più lievi. Laddove l’animo dà poco ascolto ai consigli e non può essere
curato in modo più dolce, non si provvede forse al suo bene, ricorrendo alla
povertà e alla privazione degli onori e al rovescio di fortuna, opponendo male
a male? Abituiamoci dunque a essere capaci di cenare senza una folla e ad
adattarci a un numero minore di servi. (meditazione su: la tranquillità
dell’animo di Lucio Anneo Seneca).
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R I S C O N T R O
Io vidi poco fa l’arcobaleno
Rifiorir di sua vaga dipintura
Una gran nube avviluppata e scura
Ch’avea tutto sommerso il ciel sereno.
E mi sovvenne della vita mia;
E che tutte le gioie, o vere o finte,
Ch’io n’ebbi in sorte, apparvero dipinte
Sopra un gran fondo di melanconia.
-Arturo Graf-
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