EMINENZA
MARTEDÌ, 25 OTTOBRE 2011
EMINENZA
Io. Galileo Galilei, lettore di matematiche nell’Università
di Firenze, pubblicamente abiuro la mia dottrina che il sole è il centro del
mondo e non si muove, e che la terra non è il centro del mondo e si muove. Con
cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto i suddetti errori ed
eresie, e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa.
Specialissime grazie rivolgo all’Eminenza Vostra per la
meravigliosa citazione dell’Epistola agli Efesii: dalla quale, nella nostra
inimitabile Imitazione, fui mosso a rinvenire, a memoria, ciò che segue: ”Colui
che ascolta l’Eterna Parola è libero da molte domande”. Se mi è consentito a
tal proposito far cenno dei casi miei, osservo che tuttora mi si fa colpa di
avere scritto in passato un libro sui corpi celesti nella lingua dei commerci.
Non già che io intendessi con ciò proporre o approvare l’usanza di scrivere
libri su materie di ben maggiore levatura, come verbigrazia la teologia, nel
gergo dei pastai. L’argomento a sostegno dell’uso del latino nella messa, ossia
che l’universalità della lingua permette a tutti i popoli di assistere nella
medesima guisa al Divino Sacrificio, non mi sembra molto ben scelto,
inquantoché gli incorreggibili detrattori potrebbero obiettare che in tale modo
nessun popolo capirà mai le parole del sacerdote. Ritengo si debba di buon
grado rinunziare alla agevole comprensione delle cose sacre. Il latino dei
pulpiti, che protegge l’eterna verità della Chiesa contro la bassa curiosità
degli ignari, suscita un senso di confidenza se pronunciato da ecclesiastici di
umile origine con l’accento del dialetto locale…
1637: i discorsi delle nuove scienze di Galileo oltrepassano
i confini d’Italia.
Brava gente, meditate la fine:
la scienza fuggì passando il confine.
Noi che abbiamo sete di sapere,
lui come me, restammo al di qua.
Custodite perciò la luce della scienza,
fatene uso e non fatene spreco
perché non avvenga che una pioggia di fuoco
un giorno ci divori tutti quanti,
sì, tutti quanti.
(meditazione sul dramma: Vita di Galileo di Bertolt Brecht).
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P R O T A G O N I S T I
Perché morire senza la vita?
Nel tutto che ti s’avanza
nel presente sei già futuro
proiettato dalla profondità
dei sentimenti fraterni perenni
non trovi l’albagica versione
ma la concretezza delle verità.
La battaglia umana diventa realtà
perché della dignità porta l’impronta
di una vita discussa e lottata.
E per le ”lacrime amare
inghiottite dagli occhi lontano guardanti”:
Stringi la mano e sferra il pugno!
E il cuore già batte più forte
e le gambe già corrono lontano.
Ma è qui
che l’avvenimento di vita assume
dove l’occhio dall’alto più non vede
negli orizzonti dell’intimo indomito
sofferente e uguale nelle aspirazioni
figura di sommi capi protagonisti.
-Renzo Mazzetti-
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