BELVEDERE
lunedì, 17 ottobre 2011
BELVEDERE
Adesso possiamo andare a prendere il caffè. Così siamo rientrati nella pensione e ci siamo avviati verso il salotto. Per capire la mia ripugnanza a passare la serata nel salotto, devo dire che non era tanto dovuta ad una preferenza per il chiaro di luna sul mare che si poteva ammirare dal belvedere di Cesare, quanto al mio odio per il salotto stesso. A dirla in breve, per me, uomo del novecento, malsicuro e dubbioso, entrare nel salotto era come entrare in una specie di tempio in cui erano custodite le certezze altrove defunte dell’ottocento. Così, pur seguendo le due donne, non ho potuto fare a meno di gettare un lungo sguardo angosciato a quella sala del tutto invernale messa si cinquant’anni fa per le serate dei borghesi del Nord. Ecco, dunque, le quattro finestre incastellate nei pesanti cortinaggi di damasco scuro; ecco il gruppo di massicce poltrone simmetricamente disposte in ciascun angolo della sala; ecco, nel mezzo, la tavola rotonda, con il tappeto dai disegni opachi che ricadeva giù in rigide pieghe e le riviste e i giornali tedeschi, inglesi, scandinavi, svizzeri, disposti in ordine gli uni sugli altri, intorno il vaso decorativo di bronzo. Ecco, infine, tra una finestra e l’altra, i dagherrotipi in grandezza naturale di barbute personalità dell’ottocento: Ibsen, Victor Hugo, Tolstoi, Darwin, nonché quelli di alcuni oscuri monarchi germanici in divise militari. Cge più? Perché, poi, l’ ultimo discendente dei primi proprietari della pensione, non avesse provveduto a disfare questa specie di museo delle celebrità del secolo scorso, questo conservatorismo si poteva spiegare soltanto con la generale atmosfera pigra e sonnolenta della villeggiatura .
I N D O V I N A L’ I N D O V I N E L L O:
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