ANGELI

sabato, 17 settembre 2011



CARLO PISACANE



ANGELI

Le leggi economiche esercitano la maggiore influenza sui destini sociali di un popolo, che esse regolano ed indirizzano tutte le istituzioni politiche. Qual’è il motivo pel quale la società non ha tutta intera il benessere, il motivo pel quale pochi godono e molti soffrono, pel quale il progresso con le sue invenzioni, con le sue macchine, con le sue scoperte, reca nocumento agli interessi del popolo, e le ricchezze si ristringono sempre più in un piccolo numero di persone? La cagione evidente è il diritto di proprietà, che dà facoltà a pochi di arricchirsi a discapito di molti, che è l’asse intorno a cui tutte le nazioni, tutte le società hanno compiuto il loro ciclo. Sofisti, apologisti della proprietà, vorreste negare quaranta secoli di storia? Sareste voi capaci di dimostrare che non fu l’opulenza di pochi e la miseria della plebe la sorgente di tutti i mali sociali? E’ innegabile che la società dall’ingiusto riparto delle ricchezze viene divisa in due parti, da una parte capitalisti e proprietari, dall’altra operai e fittaioli. La società dall’ingiusto riparto delle ricchezze vien divisa in due parti: i pochi ed i molti da quelli dipendenti. Si rimedierà a questi mali con istabilire più eque relazioni fra il proprietario e il fittaiolo, fra il capitalista e l’operaio. Finché i pochi sono proprietari de’ mezzi onde soddisfare agli incalzanti bisogni dei molti, questi saranno servi di quelli, qualunque siano le leggi; basta che esse riconoscano e proteggano il diritto di proprietà. La società è divisa in due parti, possessori e nullatenenti, che il diritto di proprietà determina. L’economia pubblica pigliando le mosse da questo diritto sviluppa le sue leggi, che si basano su di esso. Tali leggi regolano inesorabilmente il rapporto fra queste due classi e conducono a conseguenze inevitabili e funeste. Cotesti rapporti che risultano di fatto non possono modificarsi sotto pena di un deperimento universale; unica legge possibile è la libertà, conseguenza di essa miseria sempre crescente. Se togliete al ricco parte del suo avere onde soccorrere il povero, quegli mentre con una mano sborsa il denaro che gli vien chiesto, con l’altra lo rapisce di nuovo; ben presto rincara il vivere e la miseria si accresce. Dunque: la causa che volge tutte le riforme in danno del popolo, la causa che, accrescendo continuamente la miseria, mena alla decadenza, alla dissoluzione sociale e contrasta alla scopo principale che si propone la società, il benessere di tutti o almeno dei più, è il mostruoso diritto di proprietà. La logica quindi impone di rimuovere l’ostacolo poco curandosi delle conseguenze; la società riprenderà da sé l’equilibrio, dal caos naturalmente verrà il kosmos. La proprietà privata determina e produce nella società un’altra causa, un’altra origine dei mali e di disordini ingiusti: il governo.

Le due cagioni da cui la miseria, la schiavitù, la corruzione irraggiano sono proprietà e governo.

La nascita del governo fu il dominio eroico de’ forti sopra i deboli, come le prime leggi, che poi si trasformarono in consuetudine, furono l’arbitrio di que’ forti. Il governo, quale oggi esiste, non è utile a nulla, anzi nuoce agli interessi del popolo e del paese. Esso non può trasformare il pubblico costume perché questo scaturisce immediatamente dai rapporti e dagli ordini sociali, nemmeno può proporsi uno scopo educativo, giacché l’educazione altro non deve essere che una legge generale, con la quale pongansi a disposizione di ogni cittadino tutti i mezzi di cui dispone la società e per di più una società ben costituita dovrebbe porgere a ciascuno i mezzi onde soddisfare le inclinazioni ed utilizzare le attitudini proprie. Il patto sociale trae la sua origine dalla violenza e dall’usurpazione, sicché il governo può definirsi l’ostacolo allo sviluppo delle leggi naturali, il sostegno de’ privilegi. Le leggi, le istituzioni che emanano dallo Stato rappresentano la protezione del ricco contro il povero, del proprietario contro il nullatenente: le gravezze, le imposte colpiscono la plebe, né sono risentite dalle classi dominanti. Il governo vive delle gravezze pagate dai cittadini e queste, meno pochissime su taluni oggetti di lusso, tutte gravitano sui poverelli, sul minuto popolo che paga nella gran parte e più delle altre classi sociali ne risente il peso, mentre i ricchi e coloro che assorbono i maggiori stipendi sono in proporzione i meno gravi. Questi governi dovrebbero almeno proteggere i miseri. Ma no, è il ricco che ottiene protezione, è il povero che popola le prigioni, che vive sotto la sferza e la prepotenza dei birri. Tutte le leggi, tutte le riforme, eziandio quelle popolari, favoriscono solamente la classe ricca e colta; le istituzioni sociali, per loro natura, volgono tutte in suo vantaggio. Il risultato necessario di questo squilibrio è la miseria. La miseria poi a sua volta è la principale cagione, la sorgente inesauribile di tutti i mali della società; voragine spalancata che ne inghiottisce ogni virtù. La miseria aguzza il pugnale dell’assassino, prostituisce la donna, corrompe il cittadino, trova satelliti al dispotismo. Conseguenza immediata della miseria è l’ignoranza, che rende il popolo incapace di governare i suoi particolari negozi, nonché quelli del pubblico, e corrivo nel credere tutte quelle imposture per le quali si diventa fanatici, impostori, intolleranti. La miseria e l’ignoranza sono gli angeli tutelari della moderna società, sono i sostegni sui quali la sua costituzione s’innalza, restringendo in picciol giro l’ampio cerchio dell’universale cittadinanza. Il delitto e la prostituzione, conseguenze inevitabili, sgorgano dal seno di questa società. Bagni e patiboli sono le sue opere, volte a punire con raffinata ipocrisia i frutti medesimi delle sue viscere. La miseria e l’ignoranza non si scompagnano mai dal misfatto. Finché i mezzi necessari alla educazione e all’indipendenza assoluta del vivere non saranno guarentigia d’ognuno, la libertà è promessa ingannevole. (Meditazione sul testamento politico, Genova, giugno 1857 di Carlo Pisacane).

MARGHERITA
E come mani 
che spogliano la bella 
margherita colorata
tu miseria raccogli
i petali
da una casa all'altra
donando le briciole.
Dalla tua terra 
che ad altri ridona
materna e rigogliosa
i frutti del sudore,
del caldo sole splendente,
del cielo terso e piangente,
del vento che porta 
quel sapore di mare
dove tanti bei ricordi
scaturiti nei pianti della rugiada
dove il sudore stagna
sono lentamente tolti
dalla mano benigna dell'alba,
pieghi i tuoi steli vellutati
lascando asilo a qualche insetto.
Somigli a quella fanciulla
che conobbe solo gli stracci
e non i vestitini candidi e colorati
coi quali ti illudi morendo
quando io ti colgo. 
-Renzo Mazzetti- (Dicembre 1969)




Cleo: LA POVERTA' E' IL NUTRIMENTO DELLA RICCHEZZA. 
 
 
 
 
 
 
 
 

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