NULLA

 

domenica, 14 agosto 2011

NULLA

 

  Per me, quello che so mi basta, non mi curo di essere un Arcesilao o uno di quei disgraziati Soloni con la testa bassa e gli occhi fissi a terra, che sembrano masticare i loro brontolii e rabbiosi silenzi; con il labbro sporgente pare che ci pesino le parole, rimuginando le allucinazioni di quel vecchio infermo. Nulla nasce dal nulla, nulla può tornare nel nulla. Per questo sei pallido? Per ciò qualcuno non mangia? La gente ride e i giovani muscolosi arricciando il naso ripetono tremule risate. Guarda bene, il cuore mi palpita per non so che, e il respiro mi esala pesante dalla gola ammalata; guarda per cortesia. Chi parla così al medico, che gli prescrive il riposo a letto, se la terza notte constata che il polso gli batte normale, chiederà a una casa più ricca, con una bottiglia mezzana, del vino leggero di Sorrento da bere prima del bagno. Di lì a poco le trombe, le candele, e infine quel signorino felice sul catafalco, spalmato di grasso balsamo di amomo, protende tese le rigide gambe verso la porta. (meditando frammento, satira III, PERSIO).

 

 

                                      I  L     M  A  T  T  I  N  O      (versi 20 – 45)

 

In vano Martedì

 

a sé t’invita; chè ben folle è quegli

 

che a rischio de la vita onor si merca,

 

e tu naturalmente il sangue aborri.

 

Né i mesti de la dea Pallade studii

 

ti son meno odiosi: avverso ad essi

 

ti feron troppo i queruli ricinti,

 

ove l’arti migliori e le scienze

 

cangiate in mostri e in vane orride larve,

 

fan le capaci volte echeggiar sempre

 

di giovanili strida. Or primamente

 

odi quali il Mattino a te soavi

 

cure debba guidar con facil mano.

 

Sorge il Mattino in compagnia dell’Alba

 

innanzi al Sol che di poi grande appare

 

su l’estremo orizzonte a render lieti

 

gli animali e le piante e i campi e l’onde.

 

Allora il buon villan sorge dal caro

 

letto cui la fedel sposa e i minori

 

suoi figlioletti intiepidir la notte;

 

poi sul collo recando i sacri arnesi

 

che di ritrovar Cerere e Pale,

 

va col bue lento innanzi al campo, e scuote

 

lungo il picciol da’ curvi rami

 

il rugiadoso umor che, quasi gemma,

 

i nascenti del Sol raggi rifrange.

 

-Giuseppe Parini-

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