VANITA’
domenica, 17 luglio 2011
VANITA’
La disgrazia dei
nostri paesi orientali è la disgrazia del mondo, e ciò che in Occidente viene
chiamato civiltà non è che uno spettro in più tra i tanti fantasmi di un
tragico inganno. L’ipocrisia ci sarà sempre, anche se con la punta delle dita
lustra e dipinta; l’inganno non cambierà mai, anche se il suo tocco diverrà
morbido e delicato; la menzogna non si tramuterà mai in verità, neppure se la
rivestirai con abiti di seta e gli offrirai dimora nel palazzo; l’avidità non
diverrà mai appagamento; e neppure il crimine si trasformerà in virtù. E’
l’eterna schiavitù agli insegnamenti, alle usanze e alla storia rimarrà
schiavitù anche se si dipingerà il volto e altererà la propria voce. La
schiavitù resterà schiavitù in tutta la sua orribile forma, anche se vorrà
chiamarsi libertà. No, fratello mio, l’Occidente non è superiore né inferiore
all’Oriente, e la differenza che passa tra i due non è maggiore della
differenza tra la tigre e il leone. Dietro la maschera della società, ho
scoperto una legge giusta e perfetta, che compensa la miseria, la prosperità e
l’ignoranza, non preferisce una nazione ad un’altra né opprime una razza per
arricchirne un’altra. La civiltà è cosa vana e tutto ciò che in essa si trova è
vano.
… La conquista delle lunghe distanze e la vittoria sui mari
sono soltanto falsi frutti che non soddisfano l’anima, non nutrono il cuore né
sollevano lo spirito perché sono lontani dalla natura. E le strutture e le
teorie che l’uomo chiama conoscenza e arte non sono altro che ceppi e catene
dorate che l’uomo si trascina dietro, rallegrandosi dei loro scintillanti
riflessi e dei loro suoni squillanti. Sono delle robuste gabbie le cui sbarre
l’uomo stesso ha cominciato a fabbricare secoli fa, senza accorgersi che le
stava costruendo dall’interno e che, quindi, sarebbe presto diventato
prigioniero di se stesso per l’eternità. Sì, sono vane le azioni dell’uomo,
così come sono vani i suoi scopi, e tutto è vanità su questa Terra. (meditando
La tempesta di Kahlil Gibran).
SENZA TITOLO
La società recidiva
senza occhi
senza voce
senza orecchie
reprime immensità di nuova vita
in metafore di vista, di urli, di udito.
La compagine povera che soffre
percepisce ciò che nessun potente
potrà mai imitare o soffocare.
Una nuova èra avanza
nell’aria e nel sangue
già volteggia e pulsa.
Nel sapere di chi non sa
l’alba e il tramonto
è ancora alba e tramonto.
Ma se il tramonto
si chiamasse alba?
E se l’alba
si chiamasse tramonto?
E se la morte della ricchezza
si chiamasse vita?
-Renzo Mazzetti-
Commenti
Posta un commento