CECCHINA

 

MARTEDÌ, 26 LUGLIO 2011

CECCHINA

 

I suoi monologhi inquietanti scandalizzano e divertono. Per tre ore sta sulla scena, da solo, con un lenzuolo bianco e una lampadina, poi conclude con la Marcia degli incazzati: una sequela di invettive che cambia ritmo a ogni strofa. Durante lo spettacolo può succedere di tutto, perché improvvisa tutte le sere secondo i suoi umori. Esagera la realtà, ma soltanto per comunicare il messaggio. Odia tutti quelli che idealizzano la vita in campagna: per questo non piace neanche ai comunisti perché vorrebbero l’immagine del contadino semplice e sano, invece i contadini sono malati e sporcaccioni. E lui lo dice. Canta il mondo contadino, e i contadini hanno in testa due cose soltanto: la miseria e la fica. Contro la miseria bestemmiano, per la fica farebbero qualsiasi cosa. O parli di sesso e di rabbia, o non sei un cantante popolare. L’andamento dignitoso delle vacche la mattina / lo eccitava e lui fremeva / masturbandosi in cantina. Piano piano si toglieva i calzoni / mentre lei, con la coda, / scacciava i mosconi. Unica variante al sesso rurale, la violenza dei suoi ricordi infantili: la madre che sgozzava i conigli con i denti e i cuginetti che giocavano a palla con la testa mozzata del maiale. Queste non sono artistiche fantastiche esagerazioni, l’iperrealista cantore del sesso rurale racconta cose vere, viste coi propri occhi: l’amante dello zio era la mucca Cecchina, lui la stava a guardare quand’era bambino nella stalla, lo zio la scopava seduto sul seggiolino da mungitura, poi, alla sera, andava a fare il barista alla Casa del Popolo, l’unico locale del paese, e lì tutti i contadini ubriachi gli raccontavano le loro storie. Facevano l’amore con le capre, con le cavalle e perfino con le zucche. Qualche volta cantavano le loro gesta in ottavine, rime baciate alla maniera dei vecchi cantastorie, ed è da loro che ha imparato a mettere in versi le sue ballate: c’è più poesia nei complimenti che uno di loro fa alla vacca preferita che in tutte le canzoni di Lucio Battisti, sostiene deciso il cantore iperrealista. (meditazione su: T’amo, o pia vacca. Roberto Benigni. Panorama, 20 novembre 1975. Lidia Ravera).

 

IL BOVE

 

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento

 

Di vigore e di pace al cor m’infondi,

 

O che solenne come un monumento

 

Tu guardi i campi liberi e fecondi,

 

O che al giogo inchinandoti contento

 

L’agil opra de l’uom grave secondi:

 

Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento

 

Giro de’ pazienti occhi rispondi.

 

Da la larga narice umida e nera

 

Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto

 

Il mugghio nel sereno aer si perde;

 

E del grave occhio glauco entro l’austera

 

Dolcezza si rispecchia ampio e quieto

 

Il divino del pian silenzio verde.

 

-Giosuè Carducci-

 

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