SFACELO
venerdì, 17 giugno 2011
SFACELO
In Italia la cultura è ancora <<borghese>>, poiché la società è borghese. Contro questa cultura borghese si sono schierati molti dei letterati e dei pensatori italiani, ma non si può dire che la loro posizione sia del tutto chiara e la loro critica definitiva, in quanto, nati ed educati in una società borghese (e anzi per la maggior parte provenienti dalla piccola borghesia), conservano delle abitudini e delle attitudini che sono ancora borghesi. Del resto non si può pretendere da essi se non proprio questo atteggiamento <<critico>>, questo impegno di rinnovamento, che in sede polemica ha già dato molto, e in sede creativa, invece, è ancora molto incerto. Possiamo indicare tuttavia l’esistenza di una buona letteratura di <<denuncia>> contro i vizi e gli orrori della società borghese: intendo riferirmi soprattutto agli scrittori che si erano riuniti intorno al Politecnico di Vittorini, e che hanno scritto dei romanzi da questo punto di vista decisamente notevoli; la Resistenza ha fornito molto materiale a questa letteratura che è di sinistra, ma non ancora <<nuova>> in quanto linguisticamente è ancora prodotta da matrici letterarie, magari altissime, ma, dal nostro punto di vista, negative. In questi ultimi decenni abbiamo avuto dei grandi scrittori, in Europa, che hanno esaurito quello che si può definire l’esame di coscienza della borghesia, cioè l’operazione introspettiva che, sondando le profondità dell’individuo, ha spiegato poi sulla pagina, come un guanto rovesciato, l’esistenza di un uomo, enormemente sensibile e intelligente, educato in una società borghese. Pareva che l’uomo non potesse essere altro che questo squisito e impeccabile conoscitore di se stesso e della propria storia, dotato di una fantasia poderosa che a una diagnosi clinica non poteva non apparire patologica… intendo riferirmi a Gide, a Proust, a Joyce, a Eliot. Di un giudizio, nemmeno l’ombra, salvo quello, s’intende, a cui da secoli aveva abituato il cattolicesimo: un giudizio tutto privato, intimo. Ognuno cercava (e cerca) di risolvere la propria crisi chiudendosi nella sua torre ora con un sorriso del dandy, ora con la disperazione dell’eremita. Intendiamoci: non c’è nulla di più augurabile per le nostre lettere che nasca da noi un Proust, con tutta la sua psicologia patologica; comunque un Proust che trascriva la propria storia in una società aristocratica così come ha fatto l’autore della Recherche è ormai inconcepibile e anacronistico.In conclusione, il problema è intricatissimo per una serie di interferenze e di distinzioni, bisognerà tener presenti alcuni fatti:
C’è una letteratura <<borghese>> che soddisfa l’enorme maggioranza della popolazione, fatta di cattivo gusto, ipocrisia, puritanesimo, pornografia e sentimentalismo; ma c’è anche una letteratura borghese che è contro e fuori il gusto delle masse borghesi e borghesizzate, e che è tutta intelligenza, ricchezza, fantasia, audacia, spregiudicatezza (gli antimodelli cui accennavo e, in campo pittorico, Picasso).
C’è uno schieramento di destra e di sinistra anche in letteratura, e per ragioni puramente letterarie, ma non sempre che è a sinistra in letteratura è a sinistra in politica; c’è dunque un doppio gioco di rapporti tra l’avanguardismo letterario e l’avanguardismo politico.
Generalmente il letterato è disposto a tradire la sua classe sociale (intendo dire il letterato moderno, d’avanguardia, cioè colui che ha raggiunto una somma abilità nelle coseddette <<prese di coscienza>>.
Tenendo conto di tutti questi fatti (e di molti altri ancora: per esempio, che altro è la letteratura altro è poesia) si può constatare come il letterato necessiti fortemente di una vocazione politica per iniziare quella costruzione di una <<cultura nuova>> che venga a sostituire la vecchia cultura borghese. Ho detto <<iniziare>>, perché, ripeto, finché la società sarà borghese la cultura sarà borghese.
Non si possono pretendere dei miracoli.
Il lettore non abituato a queste discussioni, per intendere il rapporto società-cultura, immagini una specie di banchetto, a cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi (gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i proletari); Quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo e il clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno accontentarsi dei rimasugli delle pietanze preparate dagli intellettuali, e gli intellettuali, per mangiare le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’ strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose. Ora ciò che si richiede all’intellettuale non è una cosa facile né comoda: si tratta di una rinuncia. Compia pure anch’egli quell’esame introspettivo, interiore, diaristico che è poi la ginnastica vitale dell’uomo di pensiero, sia pure soprattutto e immensamente individuo, senza di che non è possibile essere artisti; ma cerchi di essere, in questo suo lavoro, più oggettivo e più, diciamo pure, cristiano: si collochi nella storia umana. Da principio questo suo storicismo non sarà magari fedele al marxismo-leninismo presupporrà dell’idealismo, del cattolicesimo, dell’anarchia, dell’umanitarismo, ma anche della vita, della volontà di rinnovamento. Ed è questo, io credo, che si pretende oggi dal letterato; è questo che in fondo Banfi e Marchesi volevano dire quando affermavano che il letterato comunista doveva essere completamente libero di fare ciò che voleva in letteratura e un leale compagno in politica; è questo che infine richiedeva anche Sereni, naturalmente se si tiene conto che il lealismo e la vocazione politica finiranno per operare come un potente reagente nella coscienza letteraria. [meditazione su intervento di Pier Paolo Pasolini].
Commenti
Posta un commento