PIONIERI
MARTEDÌ, 31 MAGGIO 2011
PIONIERI
Morto ottantenne, dopo una vita piena e feconda di opere, è
ormai anch’egli una voce di Spoon River. A quale lo paragoneremo? A Petit, il
poeta che cantava <le villanelle, i rondelli, i rondò> mentre invece
Omero e Whitman ruggivano tra i pini? A John W. Burleson che sposò la figlia di
un banchiere e scrisse saggi, frequentò gli intellettuali, ma non poté mai
scrivere un verso, un solo verso che durasse? A Jack il suonatore ambulante che
nell’aldilà con tutti i suonatori <dal più grande al più umile>, seduto
ai piedi di un cieco <dalla fronte grande e bianca come una nuvola>, lo
ascolta cantare della caduta di Troia? E’ notevole che come tutto o quasi
l’altra gente di Spoon River, anche i suoi poeti siano esseri frustrati, delusi
o rassegnati e pusilli. Non sembra che la vita di Lee Masters fosse tale, data
la sua esteriore riuscita e pienezza. E non sembra nemmeno che egli ignorasse
il brivido, la gioia della grande ispirazione e visione -tante sono le figure
nel suo cimitero, cui un grande ricordo, un istante estatico freme nelle ossa.
Perché dunque dando voce al destino di tre dichiarati poeti, egli ha toccato
accenti così amari e patetici?
Giovinezza, non serve fuggire il richiamo di Apollo,
Géttati nella fiamma, muori con un canto di primavera,
se morire tu devi in primavera…
dice Webster Ford, l’ultima voce del libro, lo stesso Lee
Masters che ripensa alla sua vita
O mie foglie
troppo secche per farne corone, adatte soltanto
alle urne del ricordo…
La poesia più severa e consapevole di Lee Masters è in
questa umiliata celebrazione dell’energia e della giovinezza di un grande
passato. Non il rimpianto della propria giovinezza, del proprio individuale
orgoglio e piacere, ma un sogno eroico di <repubblica>, di <giganti
che strapparono la repubblica dal seno della Rivoluzione>, buoni
<pionieri> che hanno amato e combattuto con coraggio. Nel secondo
decennio del secolo egli inizia in questo modo un vagheggiamento e ripensamento
della più schietta tradizione americana, che tanti riprenderanno. Segno
indubbio che questa tradizione volgeva al tramonto, era ormai storia passata.
Sarà dunque Lee Masters una specie di Carducci, e Whitman, profeta dell’energia
democratica e pioniera, il suo Dante? Fino a un certo punto. Carducci non è mai
riuscito a valicare i confini della terza Italia e parlare al mondo, il suo
sogno umano fu nutrito di provinciali polemiche scolastiche e anticlericali:
Lee Masters quardò spietatamente alla <piccola America> del suo tempo e
la giudicò e rappresentò in una formicolante commedia umana dove i vizi e il
valore di ciascuno germogliano sul terreno assetato e corrotto di una società
la cui involuzione è soltanto il caso più clamoroso e tragico di una generale
involuzione di tutto l’Occidente. Per questo le spettrali, dolenti, terribili,
sarcastiche voci di Spoon River ci hanno tutti commossi e toccati a fondo. E’
la voce di una società che non pensa più <in universali>. Disse Lee
Masters a un giornalista: <Ogni due o tre anni ho, fino a poco tempo fa,
riletto tutte le tragedie greche. La civiltà dei Greci fu la grande meraviglia
del mondo. Essi pensavano in universali. Così i drammaturghi
elisabettiani…>. Pensare <in universali> significa far parte di una
società dove non siano, come credono gli sciocchi, aboliti il dolore,
l’angoscia spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistano gli
strumenti per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria,
la morte. E Lee Masters testimonia con l’Antologia che la società in cui si è
trovato a vivere manca di questi strumenti, di questi <universali> -in
altre parole ch’essa ha perso il senso e la guida dei suoi atti. Di qui le
futili e atroci tragedie che hanno riempito il cimitero sulla collina. C’è un
piccolo episodio nella vita dell’avvocato Lee Masters che può farci riflettere
sul senso della sua opera. Nell’aprile 1914, quando cominciò a comporre
l’Antologia, difendeva in tribunale un sindacato di cameriere di Chicago
ridotte alla fame. Per tutto quel tempo condusse come una doppia esistenza.
<Oh… ero in gamba; non mi ero mai sentito meglio in tribunale… ma a volte mi
guardavo intorno e tutto era a suo posto, eppure avevo il senso di non far
parte di nulla… Scrivevo le poesie a casa, all’ufficio, dappertutto, sulle
liste della trattoria, sulle buste delle lettere… Più tardi, quando mi offersero
5000 dollari per il manoscritto di Spoon River, mi ricordai che l’avevo
buttato. Non si conservano le liste della trattoria>. Non è nulla più di un
episodio, forse frangiato dal giornalista che lo racconta (Robert Van Gelder,
Writers and writing, 1942) ma ci sembra simbolico di quest’uomo e della sua
opera. La spietata chiarezza dell’angoscia americana nasce in un’aula di
tribunale, mentre si dibatte la sorte di umili cameriere in sciopero. Tante
sono le strade della poesia. (meditazione su: L’ultima voce di Spoon River di
Cesare Pavese).
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RALPH RHODES
Tutto quel che dicevano era vero:
feci fallire la banca di mio padre coi prestiti ottenuti
per speculare sul grano a tempo perso; ma questa è la
verità-
compravo grano anche per lui,
che non poteva figurare nell’affare
per via dei suoi rapporti con la chiesa.
E mentre Giorge Reece scontava la pena
io inseguii il fuoco fatuo delle donne
e l’inganno del vino a New York.
E’ fatale disgustarsi del vino e delle donne
quando non hai nient’altro nella vita.
Ma immaginate la vostra testa grigia, e china
su un tavolo cosparso di mozziconi acri
di sigarette e bicchieri vuoti,
e si sente un colpo, e voi sapete che è il colpo
così a lungo soffocato dallo scoppio dei tappi
e dalle strida fatue delle donnine-
voi alzate lo sguardo, ed ecco la vostra ladra,
lei che ha atteso che aveste la testa grigia
e il cuore perdesse colpi per dirvi:
il gioco è finito. Sono venuta a prenderti.
Vai sulla Broadway e fatti investire,
ti rispediranno a Spoon River.
-Edgar Lee Masters-
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