EQUANIME
sabato, 14 maggio 2011
EQUANIME
In Platone c’è una splendida similitudine che spiega
chiaramente perché i filosofi debbano stare lontani dalla politica. Egli vede
la gente in piazza bagnarsi sotto una pioggia torrenziale e non riesce a
convincere nessuno a ritirarsi in casa, così da evitare di bagnarsi
inutilmente. Egli sa bene che stando fuori con loro non otterrebbe altro che
inzupparsi anche lui e così, non potendo far nulla per la stupidità altrui,
decide di starsene in casa lui solo e si conforta pensando tra sé e sé che
almeno lui è al sicuro.
… non credo che ci possano essere vera giustizia e reale
prosperità finché sussiste la proprietà privata e il denaro rimane il
fondamento di ogni cosa. A meno che non si pensi che si agisca con giustizia
laddove le persone peggiori sono le sole a vivere agiatamente e che si ritenga
fiorente uno Stato i cui beni sono concentrati nelle mani di una stretta
minoranza. Considerate poi che nemmeno costoro sono pienamente felici, vivendo
gli altri nella miseria più nera.
… dove le leggi proliferano, non può esservi buon governo,
perché tutto è fondato sulla proprietà privata. Ogni giorno vengono sfornate
nuove leggi, ma nessuna è in grado di far sì che un cittadino possa ottenere,
difendere e perciò distinguere chiaramente ciò che ognuno chiama la sua
proprietà privata. Ciò è chiaramente dimostrato dal numero infinito di processi
senza fine che vi vengono celebrati, protraendosi nel tempo senza mai approdare
a una conclusione certa. Riflettendo su queste cose riesco a capire
profondamente il pensiero di Platone e non mi stupisco affatto del suo rifiuto
di legiferare per quelle comunità che rifiutano il principio dell’uguaglianza.
Quell’uomo sapiente capiva chiaramente che l’equa distribuzione dei beni è la
condizione (sine qua non) perché un paese sia ben governato ed è evidente che
ciò non si può realizzare in uno Stato in cui i beni sono proprietà di singole
persone. Infatti, quando tutti cercano di arraffare quanto più possibile, va a
finire che, per quanto numerosi siano i beni, essi finiscono nelle mani di
pochi privilegiati: il che significa che tutti gli altri rimangono poveri.
Accade così che le persone ricevono in proporzione inversa rispetto al merito:
i ricchi infatti sono inutili parassiti, avidi e senza scrupoli, mentre i
poveri sono persone semplici e di buon cuore, il cui duro lavoro quotidiano
giova alla comunità ancor più che a se stessi. In altri termini sono convinto
che non si avrà mai un’equa distribuzione dei beni, né una retta organizzazione
dell’esistenza umana, finché la proprietà privata non sarà definitivamente
abolita. Finché essa sussiste, la gran maggioranza delle persone, nonché la
parte migliore della società, vivrà inevitabilmente nell’indigenza, schiacciata
dal peso della povertà e di infinite preoccupazioni. (meditazione su Utopia di
More Thomas).
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L’ONOREVOLE HENRY BENNETT
Non mi venne mai in mente,
finché fui in punto di morte,
che Jenny mi aveva amato da morire, con cuore spietato.
Perché io avevo sett’anni, lei trentacinque,
e m’ero ridotto un’ombra per fare da marito
a Jenny, la rosea Jenny piena di vitali ardori.
Tutta la mia saggezza e finezza spirituale
non le davano la minima gioia, in verità,
e non faceva che parlare della forza gigantesca
di Willard Shafer, e del suo gran gesto
di tirar su un trattore dal fosso
quella volta da Geargie Kirby.
Così Jenny ereditò i miei soldi e sposò Willard
quella montagna di muscoli! Quel buffone!
-Edgar Lee Masters-
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