PITAGORA

DOMENICA, 27 FEBBRAIO 2011

PITAGORA

 

 Non troverai per il loro delitto pena degna né appronterai supplizi degni di questi popoli, nella mente dei quali pari e simili sono ira e fame. Di dare cuori tenerissimi al genere umano lo mostra chiaramente la natura, che gli ha dato le lacrime: questa è la parte migliore di noi, la sensibilità. Di versare lacrime la natura ci comanda, dunque, a causa della veste da accusato indossata dall’amico, che pronuncia il suo discorso di difesa in tribunale; a causa del pupillo, che chiama in giudizio il tutore imbroglione (le sue guance bagnate di pianto, sono i capelli lunghi di fanciulla a renderle incerte quanto a sesso!). Per comando della natura noi piangiamo, quando ci si fa incontro il funerale di una vergine matura per il matrimonio, oppure quando viene chiuso dentro la terra un infante troppo piccolo per il fuoco del rogo. Quale persona, buona e degna della fiaccola arcana (tale, quindi, quale il sacerdote di Cerere ordina sia), crede qualche male a sé estraneo? Questo ci separa dal gregge degli animali privi di parola, anzi, avendo avuto noi soli in sorte intelligenza e razionalità degne di venerazione ed essendo in grado di abbracciare le cose divine ed adatti ad esercitare e a produrre conoscenze teoriche, noi abbiamo assorbito la sensibilità mandata giù dalla rocca celeste; di questa mancano invece gli animali, proni e con gli occhi a terra. All’inizio del mondo,il fondatore comune ha concesso a quelli solo elementi vitali, a noi invece anche l’animo, con l’intenzione che un reciproco affetto ci invitasse a chiedere e a prestare aiuto, a radunare uomini sparpagliati in modo da formare un popolo, ad emigrare dall’antico bosco e a lasciare le selve abitate dagli antenati, a costruire case, ai nostri Lari a congiungere un altro tetto, cosicché la fiducia collettiva desse sonni difesi proprio dal limitare vicino; a difendere con le armi un concittadino caduto o barcollante per una grave ferita; a dare segnali con una tromba che valesse per tutti; ad essere difesi dalle medesime torri e a star chiusi dentro con chiave unica per tutte le porte. Ma ormai maggiore è la concordia fra i serpenti; la belva, che è simile per le macchie del pelo, risparmia i consanguinei: quando mai un leone più forte ha tolto la vita ad un leone? In quale bosco spirò mai un cinghiale a causa dei denti di un cinghiale più grosso? La tigre indiana vive in pace perpetua con la tigre, pur portata alla rabbia; gli orsi crudeli si accordano fra di loro. Per l’uomo, invece, è troppo poco aver prodotto con l’incudine nefanda il ferro che porta la morte (invece, i primi fabbri, abituati a cuocere solamente rastrelli e sarchielli e stanchi per forgiare zappe e vomeri, non sapevano trarre fuori dal metallo le lunghe spade); vediamo popoli alla cui ira non basta aver ucciso qualcuno, ma che devono aver creduto petti, braccia, volto un tipo di cibo! Che direbbe, dunque, oppure dove non se ne fuggirebbe, se ora vedesse queste mostruosità, Pitagora, lui che si astenne da tutti gli animali come fossero uomini, ed al ventre non concesse… ogni tipo di legumi? (meditazione sulla satira quindicesima di Giovenale).

 

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LACRIME

 

Bianche gocce lacrime

 

rigano il vetro della finestra.

 

Dalle fessure

 

entrano fiati

 

sconosciuti

 

freddi.

 

Chi piange stanotte?

 

Sarà forse il cielo

 

maestoso superbo infinito?

 

Sarà forse un solitario nuvolo

 

sensibile alla brezza che lo porta

 

in parte a coprire la Luna?

 

Un lampo silenzioso

 

illumina un riflesso

 

 conosciuti occhi sorpresi

 

 subito risvaniscono vergognosi.

 

-Renzo Mazzetti- 

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