BALATELE

mercoledì, 19 gennaio 2011

BALATELE

Il re e i potenti lo perseguitarono. Lo arrestarono continuamente. La sua vita fu quella simile a tantissimi rivoluzionari del ventesimo secolo. Il carcere divenne, anche per lui, come una seconda casa, e, dal carcere, scrisse: < Noi non marceremo mai contro il Belgio, perché sappiamo che la grande maggioranza del popolo belga è contro l’oppressione dei negri. Il popolo belga non approva un regime coloniale che tiene schiavi quattordici milioni di congolesi ed è diretto da un piccolo gruppo padrone di tutte le nostre ricchezze. I nostri nemici sono i colonialisti, coloro che dividono i ricchi guadagni delle società coloniali. E’ questa minoranza di profittatori che ci impone un duro calvario. Partigiani dell’amicizia tra i popoli, noi proveremo domani che non siamo dei razzisti e degli antibianchi. I razzisti, di qualunque parte siano, neri o bianchi, non sono che degli idioti; è l’uomo con i suoi valori che conta, il resto non è che falsità. Il Congo indipendente non potrà mai, in questi tempi moderni, vivere isolato: deve entrare nel consesso delle nazioni libere e cooperare con esse. Coopereremo anche con il Belgio, da pari, a pari, da Stato sovrano a Stato sovrano >.

 L’AFRICA SARA’ LIBERA
Piangi, amato mio fratello negro nei millenni di morti bestiali!
Le tue ceneri furono sparse per la terra dal simun e dall’uragano.
Tu, che non hai mai innalzato piramidi
per tutti i tuoi potenti boia,
tu, catturato nelle razzie, tu, battuto
in ogni battaglia in cui trionfa la forza,
tu, che hai imparato in una scuola secolare
un solo slogan: schiavitù o morte,
tu, che ti sei nascosto nelle jungle disperate,
che hai affrontato tacendo migliaia di morti
sotto la maschera della febbre delle paludi…
E venne il giorno in cui comparve il bianco.
Fu più astuto e cattivo di ogni morte,
barattò il tuo oro
con uno specchietto, una collana, ninnoli,
e corruppe con l’alcool i figli dei fratelli tuo 
e cacciò in prigione i tuoi bimbi. 
Allora tuonò il tam-tam per i villaggi 
e gli uomini seppero che salpava 
una nave straniera per lidi lontani, 
là dove il cotone è un dio, e il dollaro è imperatore. 
Condannato a una prigionia senza fine,
lavorando come una bestia da soma
tutto il santo giorno sotto il sole spietato,
… solo una cosa temevi:
che ti lasciassero vivere, ti lasciassero vivere.
E presso il fuoco, nell’allarme, nei confusi sogni
ti sfogavi in canti di dolore
semplici e senza parola, come l’angoscia.
Accadde che persino ti rallegrasti
e in una esuberanza di forza danzasti
e tutto uno splendore di nuova virilità,
tutta una giovane volontà risuonasse,
su corde di rame, su tamburi di fuoco,
e il principio di questa potente musica 
crebbe dal ritmo del jazz come un tifone,
e gridò alto agli uomini bianchi
che non tutto il pianeta appartiene a loro. 
Musica, tu hai consentito anche a noi 
di sollevare il volto e di guardare negli occhi 
la futura liberazione della razza. 
Che le rive dei vasti fiumi che portano 
verso l’avvenire le loro onde vive 
siano tue!
Che tutta la terra e tutte le ricchezze 
siano tue! 
Che il caldo sole di mezzogiorno 
bruci le tue pene.
Si asciughino ai raggi del sole
le lacrime che il tuo avo versò,
tormentato in queste lande luttuose! 
Il nostro popolo, libero e felice 
vivrà e trionferà nel nostro Congo.
Qui, nel cuore della grande Africa!
 
-Patrice Lumumba-

 

 

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