SPERIAMO BENE
mercoledì, 17 novembre 2010
SPERIAMO BENE
Tu tratti affari pubblici, immagina che questo dica il maestro con barba che una funesta sorsata di cicuta tolse, con quale affidamento? Dimmelo, o pupillo del grande Pericle. Naturalmente intelligenza ed esperienza ti son cresciute veloci prima dei peli, hai fatto il callo nelle cose da dire e da tacere. Perciò allorquando la plebaglia ribolle per gli agitati umori tu sei portato a fare il silenzio nell’ardente turba con la maestà della mano. E poi che predichi? Quiriti, questo, per esempio, non è giusto, questo è male, questo è meglio. Infatti tu sai esattamente tener sospesa la giustizia sui due piatti dell’incerta bilancia; distingui la linea retta nel punto dove si storge o quando un regolo dal piede zoppo inganna, e sei capace d’infiggere la negra theta nel vizio. Ma perché dunque, bello, come sei solo di fuori, non la smetti di scuotere anzi tempo la coda davanti al popolino che t’applaude, e non sorbisci piuttosto un Anticyra puro? Qual è per te il massimo del bene? Vivere fra ingrassate padelle e con la tua fine pelle sempre curata al sole? Ammira, qui questa vecchia non altro risponderebbe. E ora va’ e sbuffa: Io sono il figliolo di Dinomache, io sono leggiadro. E sia, purché non pensi che abbia meno senno la Bauci cenciosa mentre canta imbonendo il suo basilico a uno straccione di schiavo. Come nessuno tenta di scendere in se stesso, nessuno, e come invece si guarda la bisaccia sulle spalle di chi precede! Chiedi: Conosci i campi di Vettidio? Di chi? Un ricco che ne coltiva a Cure quanti non ne sorvola un nibbio. Parli di quello, di quel tipo maledetto da tutti e dal suo dio, che quando appende il giogo ai forati crocicchi esitando a raschiare il tappo d’un vecchio barilotto geme Speriamo bene mordendo anche la tunica d’una cipolla con un po’ di sale, e mentre i servi fanno festa alla pentola di farro succhia l’ammuffata feccia di quell’aceto moribondo? E se unto riposi perché il sole ti si infigga nella pelle, c’è vicino lo sconosciuto che con una toccatina di gomito sputa acredine: Che bei costumi, passarsi la roncola sul pene e nei misteri lombari per aprire alla gente vulve fradice! Allora, se ti vai pettinando alle mascelle il tappetino profumato per qual motivo ti si alza dagli inguini un curculione depilato? Ammesso che cinque palestriti si mettano a strappare l’erbaccia e a ripassare le tue lessate natiche con una pinza adunca, tuttavia codesta felce nessun aratro riuscirà a domare. Noi colpiamo e a nostra volta offriamo i fianchi alle saette. In questo modo si vive, così abbiamo imparato. Sotto il ventre hai un’oscura ferita, ma la cintura d’oro largo la copre. Come preferisci, raccontati parole e inganna i nervi, se puoi, Ma quando i vicini mi dicono persona egregia, non devo credere? Se impallidisci alla vista d’un soldo, birbante, se fai tutto ciò che ti passa per il membro, se astuto flagelli l’amaro pozzo e lasci i segni di molte cicatrici, inutilmente avrai tese le orecchie bevàci alla folla. Rifiuta quel che non sei, riprenda la gentuccia i suoi regali. Abita con te stesso: imparerai che masserizie strette tu hai. -Aulo Persio Flacco, Satire-
Commenti
Posta un commento