PRONA
sabato, 20 novembre 2010
PRONA
In nessun ambiente si fa tanto sbandieramento di patriottismo come nei ceti ricchi e nobili; sembra quasi che le famiglie del patriziato e della grande borghesia abbiano il monopolio del prestigio della patria, del suo onore e della sua fortuna. In realtà le cose sono alquanto diverse e, salvo qualche lodevole eccezione, non vi fu mai gente così servile verso gli invasori del proprio paese come quella appartenente alle classi alte. La nobiltà milanese era stata, nella sua gran maggioranza, prona ai piedi di Napoleone quando costui era in auge; non appena, però, l’impero napoleonico finì, e gli austriaci rientrarono il Lombardia, quei medesimi nobili che avevano affollato le anticamere di Eugenio de Beauharnais, vicerè d’Italia, si affrettarono a fare omaggio al nuovo padrone. Gli ufficiali austriaci furono ricevuti con entusiasmo nei salotti eleganti e le belle damine aristocratiche non furono altere con loro, ma concedettero tutto quello che c’era da concedere. Reagì, invece, con indignazione e violenza, la gioventù del popolo e della piccola borghesia. Molti di questi giovani, e specialmente quelli più maturi fra loro, che avevano militato negli eserciti napoleonici, entrarono a far parte delle società segrete patriottiche. Altri, invece, meno dotati di senso di responsabilità e avidi di menar subito le mani, si misero a scorrazzare di notte per le strade, prendendo a bastonate coloro i quali, secondo loro, le meritavano, perché disonesti, corrotti o cattivi patrioti. La loro associazione fu chiamata Compagnia della Teppa, sia perché si radunavano clandestinamente in un prato vicino al Castello ove l’erba era alta, sia, anche, perché portavano cappelli a cilindro di stoffa pelosa. Teppa è, infatti, un vocabolo milanese, che vuol indicare il muschio o la borracina. Sebbene questi giovani non commettessero mai veri e propri reati, e fossero sempre mossi da sentimenti generosi, tuttavia il loro nome assunse ben presto un significato cattivo, che ingiustamente conserva tuttora. La più celebre delle loro imprese fu l’ultima, ch’essi compirono sotto la guida di un ex combattente napoleonico, certo Mauro Bichinkommer, di famiglia svizzera da lungo tempo emigrata a Milano, burlone notissimo per alcuni suoi celebri tiri, d’uno dei quali, architettato a Torino, furono vittime i Savoia, in occasione della nascita di Vittorio Emanuele II. Appunto per sfuggire alle conseguenze delle sue burle il Bichinkommer lasciò la capitale piemontese e venne a Milano. Correva l’anno 1820 e gli idilli fra le dame della città e gli ufficiali austriaci erano nel loro pieno fiorire. Molte gradi dame e damigelle addirittura… esageravano. La Società della Teppa pensò di frenare i loro bollori. I membri della Società si sguinzagliarono per la città in caccia dei nani più conosciuti per la loro bruttezza e deformità, ne rapirono dodici, senza che la polizia potesse impedirlo, e li nascosero nella villa della Simonetta, famosa nel settecento per la bellezza, per la sontuosità e per la sua eco che si ripeteva cinquantasei volte, ma, nel 1820, completamente abbandonata e deserta. Furono scelte, poi, dodici dame note per il loro trasporto verso gli ufficiali austriaci; con estrema audacia, esse furono rapite sotto il naso dei loro mariti ed amanti e rapidamente portate alla Simonetta. Preparato nel sotterraneo un lussuoso banchetto, dame e nani, vestiti questi ultimi in modo principesco, vi furono introdotti e, dopo un discorso di circostanza, lasciati solo. A un certo punto, quando parve che, proprio, fosse necessario, i giovani congiurati intervennero per non far degenerare la burla, calmarono con qualche bastonata i nani più esigenti e ricondussero ai loro mariti le belle dome. Nonostante l’interesse che queste avevano a star zitte, l’episodio si riseppe e ne parlò, approvando o disapprovando, tutta la città. La polizia austriaca operò numerosissimi arresti; e così si sciolse la Società della Teppa. -La Compagnia della Teppa, il calendario del popolo,1951-
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