DISSIMILE

 

martedì, 23 novembre 2010

DISSIMILE

 

Ed Erissimaco prese a dire: Ordunque, a me par necessario, dacché Pausania, avendo cominciato bene il ragionamento, non l’ha finito come doveva, che io mi provi a completare il discorso. Che l’amore sia duplice, pare a me sia stata una buona distinzione; però, che non risieda soltanto negli animi umani e non si volga soltanto alle persone belle, ma che molti altri siano gli oggetti suoi, e risieda anche negli altri esseri, nei corpi cioè di tutti quanti gli animali e nelle piante tutte della terra, e per così dire in ogni cosa che esiste, mi pare di averlo appreso dalla medicina, l’arte nostra, che grande e meraviglioso dio egli sia, e come pervada ogni cosa, umana e divina. Comincerò il mio dire dalla medicina, anche per fare onore all’arte mia. I nostri corpi hanno anch’essi il duplice amore. La sanità e l’infermità sono per consenso di tutti cose diverse e dissimili, e ciò che è dissimile, desidera e ama il dissimile: sicché altro è l’amore che risiede nel sano, altro quello che risiede nel malato. E come appunto diceva poco fa Pausania, che è bello compiacere i buoni fra gli uomini, turpe i dissoluti, il medesimo è dei corpi: a quelle parti di ciascun corpo che son buone e sane, conviene e si deve usar riguardo, e questo è ciò che si chiama medicina, alle altre invece che son malate, è turpe ed è male l’usar riguardo, se si vuol passare per persona dell’arte. La medicina infatti, a dirla in breve, è la scienza di ciò che il corpo ama rispetto al riempirsi e rispetto al vuotarsi; e chi in tali cose sa distinguere l’amore bello dal brutto, egli è il miglior medico; chi poi li sa mutare, in modo che in cambio di un amore se ne acquisti un altro, e dove non ve ne sia alcuno e debba pur esservi, sappia infondervelo, se vi sia e non debba esservi, cacciarlo via, anche questi sarebbe buon maestro. Giacché bisogna esser capaci di rendere nel corpo per così dire amiche le cose che vi sono nemicissime, e fare che l’una ami l’altra. E sono nemicissime le più opposte, il freddo al caldo, l’amaro al dolce, il secco all’umido, e così via. In tali contrapposti per aver saputo mettere amore e concordia, il nostro antenato Asclepio, come dicono questi poeti ed io credo, inventò la nostra arte. La medicina dunque, come dico, è tutta governata da codesto dio; e così anche la ginnastica e l’agricoltura. La musica poi, per poco che vi si badi, è evidente ad ognuno che è della medesima natura, come forse anche Eraclito intende dire, dacché quanto alle parole egli non si esprime bene. Dice infatti che l’uno, discordando da se stesso, con se stesso si accorda, come armonia d’arco e di lira. E’ certo una grande stranezza il dire che l’armonia discordi, o che derivi da cose discordanti. Ma forse egli voleva dir questo, che essa nasca dall’acuto e dal grave, discordanti prima, dopo consenzienti per opera dell’arte musicale. Poiché certo l’armonia non può nascere dall’acuto e dal grave in discordia fra loro: l’armonia è consonanza, e la consonanza è consenso; or il consenso è impossibile che provenga da cose discordanti, finché discordano. D’altra parte, quello che discorda e non consente, è impossibile che armonizzi; infatti il ritmo musicale nasce bensì dai tempi celere e lento, ma quando fra essi non c’è più discordia, bensì consenso. In tutte queste cose, come in quelle altre la medicina, la musica mette il consenso, ingenerandovi amore e concordia vicendevole. Sicché la musica è la conoscenza degli amori nei rapporti dell’armonia e del ritmo. Nell’armonia medesima e nel ritmo, non è affatto difficile riconoscere gli amori: qui non c’è il doppio amore; ma quando bisogna mettere il ritmo l’armonia in relazione cogli uomini, o componendo, ciò che chiamano creazione musicale, o usando rettamente di melodie e di metri già composti, ciò che chiamano educazione musicale, allora s’incontrano difficoltà e c’è bisogno di un buon maestro. Poiché torna da capo il medesimo discorso, che gli uomini costumati, e quelli che promettan di diventar tali bisogna compiacere, e del loro amore far gelosa custodia; questo è l’amore bello, il celeste, l’Eros della musa Urania: quello invece di Polinnia è il volgare, cui bisogna offerir con cautela a chi si offerisce, perché se ne colga il diletto senza lasciarsi andare a veruna incontinenza, come appunto nell’arte nostra il segreto del successo sta nel saper usare moderatamente dei piaceri della cucina, in modo da averne diletto senza andar incontro a malattia. Nella musica dunque, nella medicina, e in ogni altra arte umana e divina, bisogna, fin dove si può, aver riguardo ai due amori, dacché in tutte si ritrovano entrambi. -PLATONE, Il Simposio XII.-

 

ARRIVEREMO

 

 Arriveremo un giorno

 

vecchi ma felici

 

per la libertà

 

della nostra morte.

 

-Renzo Mazzetti-

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