MERCOLEDÌ, 26 MAGGIO 2010
DIALETTICA DELLA NATURA
La ricerca scientifica moderna risale, come tutta la storia
moderna, a quell’epoca possente che noi tedeschi chiamiamo col nome della
grande sciagura nazionale allora occorsaci, la riforma, che i francesi chiamano
la Renaissance e gli italiani il cinquecento, e che nessuno di questi nomi
riesce a definire in modo esauriente. E’ l’epoca il cui sviluppo ha inizio
colla seconda metà del secolo decimoquinto. La monarchia, appoggiandosi alla
borghesia cittadina, spezzò il potere della nobiltà feudale e fondò i grandi
regni, basati essenzialmente sulla nazionalità, nei quali si svilupparono le
moderne nazioni europee e la moderna società borghese. E mentre ancora
borghesia e nobiltà si azzuffavano, la guerra tedesca dei contadini additò
profeticamente le future lotte di classe, portando sulla scena della storia non
soltanto i contadini in rivolta (che non sarebbe stata cosa nuova), ma dietro
di essi i nuclei iniziali dell’attuale proletariato, con la bandiera rossa in
mano e la rivendicazione della comunanza dei beni sulle labbra. All’attonito
occidente si rivelò un nuovo mondo, quello dell’antica Grecia, nei manoscritti
salvati dal crollo di Bisanzio, nelle antiche statue venute alla luce scavando
tra le rovine di Roma. Di fronte alle luminose immagini di quel mondo
scomparvero gli spettri del Medioevo; l’Italia si elevò a una fioritura
artistica senza precedenti, e mai più eguagliata, che sembrò un riflesso
dell’antichità classica. In Italia, in Francia, in Germania sorse una nuova
letteratura, la prima letteratura moderna; l’Inghilterra e la Spagna
attraversarono poco dopo il periodo della loro letteratura classica. I limiti
della antica orbis terrarum furono infranti, la terra fu veramente scoperta
allora per la prima volta, e furono gettate le basi per il futuro commercio
mondiale e per il passaggio dall’artigianato alla manifattura, che a sua volta
rappresentò il punto di partenza per la grande industria moderna. La dittatura
spirituale della Chiesa fu rotta; i popoli germanici la respinsero senz’altro
nella loro maggioranza, mentre fra i latini si andava sempre più radicando una
serena libertà di pensiero, ereditata dagli arabi e alimentata dalla filosofia
greca recentemente scoperta, che preparava il materialismo del 18° secolo. Fu
il più grande rivolgimento progressivo che l’umanità avesse fino allora
vissuto: un periodo, che aveva bisogno di giganti e che procreava giganti:
giganti per il pensiero, le passioni, il carattere, per la versatilità e
l’erudizione. Gli uomini che fondarono il moderno dominio della borghesia erano
tutto, fuorché limitati in senso borghese. Al contrario, il carattere
avventuroso della loro epoca ha lasciato un’impronta, più o meno forte, su
tutti. Non vi era allora quasi nessun uomo di rilievo che non avesse fatto
lunghi viaggi, che non parlasse quattro o cinque lingue, che non brillasse in
parecchie discipline. Leonardo da Vinci non era soltanto un grande pittore, ma
anche un grande matematico, meccanico e ingegnere, alla cui opera devono
importanti scoperte i più diversi rami della fisica. Alberto Durer era pittore,
incisore, scultore, architetto, e ideatore inoltre di un sistema di
fortificazione, che contiene già parecchie delle idee che saranno riprese molto
più tardi da Montalembert e dalla moderna arte militare tedesca. Machiavelli
era un uomo politico, storiografo, poeta, e insieme il primo scrittore di cose
militari degno di nota dell’epoca moderna. Lutero non spazzò soltanto la stalla
d’Augia della Chiesa, ma anche quella della lingua tedesca, creò la prima prosa
tedesca moderna, fece sia il testo che la melodia di quel corale, pieno di
certezza nella vittoria, che divenne la Marsigliese del sedicesimo secolo. Gli
eroi di quell’epoca non erano ancora sotto la schiavitù della divisione del
lavoro, che ha reso così limitati e unilaterali tanti dei loro successori. Ma
la loro caratteristica vera e propria sta nel fatto che vivevano, e operavano
quasi tutti in mezzo agli avvenimenti del tempo, alle lotte pratiche:
prendevano posizione e combattevano anch’essi, chi con la parola e gli scritti,
chi con la spada, parecchi con ambedue. Veniva da ciò quella pienezza e quella
forza di carattere, che li faceva uomini completi. Gli eruditi di biblioteca
sono le eccezioni: o gente di secondo e terzo rango, o filistei previdenti, che
non volevano scottarsi le dita con il fuoco. L’atto rivoluzionario, con il
quale la ricerca naturale dichiarò la sua indipendenza, rinnovando insieme,
rinnovando insieme il gesto di Lutero che brucia le bolle papali, fu la pubblicazione
dell’immortale opera con la quale Copernico, se pur esitando e per così dire in
punto di morte, gettò il guanto di sfida all’autorità della Chiesa
nell’interpretazione dei fenomeni naturali.
Data da quel momento l’emancipazione della ricerca naturale
dalla teologia, seppure la separazione delle singole reciproche competenze si
sia protratta fino ai giorni nostri e non si sia ancora compiuta in molte
menti. Ma da quel momento in poi lo sviluppo delle scienze procedette con passi
di gigante e aumentò di forza, si potrebbe dire, in che modo direttamente
proporzionale al quadrato della sua distanza (nel tempo) dal suo inizio.
Sembrava quasi che dovesse essere dimostrato al mondo che per lo spirito umano,
il prodotto più alto del mondo organico, valeva da allora in poi una legge di
movimento opposta a quella che regola la materia inorganica. Il lavoro
fondamentale nel primo periodo, allora iniziatosi, della scienza naturale, fu
l’impossessamento del materiale più immediato. Nella maggior parte dei campi, bisognava
cominciare da materiale del tutto greggio. L’antichità classica aveva lasciato
l’Euclide e il sistema solare tolemaico, gli arabi avevano lasciato la
notazione decimale, i principi dell’algebra, i numeri moderni e l’alchimia; il
medioevo cristiano nulla. In questa situazione prese naturalmente il primo
posto la scienza naturale più elementare, la meccanica dei corpi terrestri e
celesti e, accanto ad essa, al suo servizio, la scoperta e il perfezionamento
dei metodi matematici. In questo campo furono fatte grandi cose. Alla fine del
periodo, che è contraddistinto dai nomi di Newton e Linneo, troviamo che in
questi rami della scienza sono stati portati a una certa compiutezza. I metodi
matematici più essenziali sono stabiliti nelle loro linee fondamentali. Lo
stesso è a dire per la meccanica dei corpi rigidi, le cui leggi fondamentali
furono allora definitivamente stabilite. Infine, nell’astronomia del sistema
solare, Keplero aveva scoperto le leggi del movimento dei pianeti, e Newton le
aveva concepite come leggi generali del movimento della materia. Ma ciò che
caratterizza in particolare questo periodo è la elaborazione di una data
concezione generale, il cui nocciolo è l’idea dell’assoluta immutabilità della
natura. Cioè: comunque il mondo naturale potesse essersi costituito, una volta
dato rimaneva quale era fino a che fosse esistito. I pianeti e i loro
satelliti, una volta messi in movimento dal misterioso primo impulso
seguitavano a girare e girare nelle orbite ellittiche loro prescritte in
perpetuo, o perlomeno fino alla fine di tutte le cose. Le stelle restavano per
l’eternità fisse e immobili al loro posto, reciprocamente sostenendosi
attraverso la attrazione universale. La terra era rimasta immutata da sempre o
perlomeno dal giorno della sua creazione. Le cinque parti del mondo erano
sempre esistite, avevano sempre avuto gli stessi monti, gli stessi fiumi, le
stesse valli, lo stesso clima, la stessa flora e fauna, a prescindere solo
dalle modificazioni apportate dalla mano dell’uomo o dalla coltivazione. Le
specie vegetali e animali erano state fissate una volta per tutte al loro
sorgere, il simile generava perpetuamente il simile. Fu già molto quando Linneo
ammise che era possibile che sorgessero qua e là nuove specie per incrocio. La
storia naturale poteva svolgersi solo nello spazio, in contrapposizione alla
storia dell’umanità che si sviluppa nel tempo. Alla natura veniva negata ogni
modificazione, ogni sviluppo. La scienza della natura, inizialmente così
rivoluzionaria, si fermava d’improvviso di fronte a una natura nella quale
tutto è oggi quel che è stato dal principio, e nella quale – fino alla fine del
mondo o eternamente – tutto resterà come era dal principio. Di quanto la
scienza naturale della prima metà del XVIII secolo era superiore a quella
dell’antichità greca per conoscenza ed anche per analisi dei fatti, di tanto le
era inferiore nel dominio ideale su di essi, nella concezione generale della
natura. Per i filosofi greci il mondo era infatti qualcosa che è venuto fuori
dal caos, che si è sviluppato, che ha attraversato un processo. Il mondo era
invece per i ricercatori del periodo che trattiamo qualcosa di pietrificato, di
immutabile, fatto – per i più – una volta per tutte in un sol colpo.
La scienza era ancora
inceppata dalla teologia. Cercava ovunque e trovava sempre come conclusione un
impulso esterno, che non poteva essere spiegato dalla natura stessa. Se anche
l’attrazione, battezzata pomposamente da Newton gravitazione universale, era
concepita come proprietà intrinseca della materia, da dove proveniva mai la
inspiegata forza (centrifuga) tangenziale che all’inizio aveva data origine
alle orbite dei pianeti? Come erano sorte le infinite specie delle piante e
degli animali? E come innanzitutto era comparso l’uomo, che indubbiamente non
esisteva ab aeterno? A tali domande la scienza naturale rispondeva unicamente o
quasi chiamando in causa il creatore di tutte le cose. Copernico inizia questo
periodo scrivendo la lettera di licenziamento alla teologia; Newton lo chiude
con il postulato del primo impulso divino. La più elevata idea generale alla
quale si innalzasse quella scienza naturale era l’armonia prestabilita della
natura, la piatta teleologia di un Wolff, secondo la quale i gatti sono stati
creati per mangiare i topi, e i topi per essere mangiati dai gatti, e l’intera
natura per mostrare la saggezza del creatore. Torna ad altissimo onore della
filosofia d’allora il fatto che non si facesse fuorviare dal limitato stadio
delle conoscenze naturali del suo tempo, il fatto che essa – da Spinosa ai
grandi materialisti francesi – mantenesse fermo il proposito di spiegare
l’universo da sé stessa, lasciando alla scienza dell’avvenire le
giustificazioni di dettaglio. La prima breccia in questa pietrificata
concezione della natura fu aperta non da uno scienziato ma da un filosofo. Nel
1755 apparve la Storia generale della natura e teoria del cielo di Kant. La
questione del primo impulso veniva messa da parte; la terra e l’intero sistema
solare apparivano come qualcosa che si è formato (etwas gewordenes) nel corso
del tempo. Se la maggior parte degli scienziati avesse meno sofferto di quella
ripugnanza al pensiero che Newton esprime con il monito: Fisica, difenditi
dalla metafisica!, essi avrebbero potuto trarre da questa geniale scoperta di Kant
conseguenze che avrebbero loro risparmiato infiniti errori di indirizzo,
incalcolabili perdite di tempo e di lavoro in direzioni sbagliate. [Invece] lo
scritto di Kant restò senza risultati immediati fino a che, molti anni dopo,
Laplace e Herschel non ne svilupparono il contenuto, giustificandolo più da
vicino, e mettendo così onore, poco a poco, l’ ipotesi della nebulosa. Nuove
scoperte diedero ad essa finalmente la vittoria… E’ però lecito dubitare che la
maggioranza degli scienziati avrebbe presto acquistato coscienza della
contraddizione di una terra mutevole che ospita organismi immutabili, se la
concezione, appena alla sua alba, di una natura che non è, ma diviene e
trapassa; non avesse ricevuto soccorsi da altre parti. Sorse la geologia, e
rivelò non solo strati terrestri successivamente formatisi e sovrappostisi
l’uno sull’altro, ma anche gusci e scheletri di animali scomparsi conservati in
questi strati, tronchi, foglie e frutti di piante non più esistenti. Era
necessario decidersi e riconoscere che non soltanto la terra nel suo insieme,
ma anche la sua superficie attuale e le piante e gli animali che su di essa
vivono avevano una loro storia nel tempo. Un tale riconoscimento venne fatto al
principio abbastanza controvoglia. La teoria delle rivoluzioni della terra di
Cuvier era rivoluzionaria nelle parole e reazionaria nella sostanza. Essa
sostituiva infatti all’unico atto di creazione tutta una serie di ripetuti atti
creativi, trasformava il miracolo in un carattere essenziale della natura. Lyell
per primo portò un ordine razionale nella geologia, sostituendo alle improvvise
rivoluzioni, suscitate dai capricci del creatore, la gradualità di una lenta
trasformazione della terra. La teoria di Lyell era ancor meno conciliabile
delle precedenti coll’ipotesi delle specie organiche fisse. Una graduale
trasformazione della superficie terrestre e di tutte le condizioni di vita su
di essa portava direttamente alla graduale trasformazione degli organismi, al
loro adattamento alle variazioni dell’ambiente, alla mutabilità delle specie.
La nuova concezione
della natura era, nei suoi tratti essenziali, ormai completa: ogni rigidità di
legami era stata sciolta, ogni fissità scomparsa: tutto ciò che era stato
ritenuto definito e stabilito per sempre in un aspetto preciso era divenuto
mutevole; si era dimostrato che l’intera natura si muoveva in un perpetuo
flusso. Siamo così oggi ritornati alla concezione dei grandi fondatori della
filosofia greca, che vedevano il carattere essenziale di tutta la natura, dalle
parti infime alle massime, dal granellino di sabbia al sole, dai protisti agli
uomini, in un eterno nascere e trapassare, in un incessante flusso, in un moto
e in un cangiamento senza tregua. Con questa differenza essenziale però: mentre
per i greci si trattava di geniale intuizione, per noi tutto ciò è risultato di
una rigorosa ricerca scientifica sperimentale, e si presenta quindi in forma
molto più definita e chiara. -Engels- (tratto dall’introduzione alla Dialettica
della natura)
UMANITA'
La
massa misera
ha
finito di mendicare
e
più non può cadere
nell'oscurità
della notte.
Lo
sconforto medita
nelle
infinite forme
cerca
di essere ricomposto
e
assume aspetti diversi
tutti
esclusi e ripugnanti.
E
l'umanità si evolve
e
nell'aria il profumo del sapere
cerca
la sorella, il fratello, l'uguale;
e
il fratello cerca il fratello
e
la sorella cerca la sorella,
sul
vecchio, secco e spento,
s'innesta
fiero il germoglio
anteriore
all'apparir da lontano
diventa
ora in tutto l'immediato
non
più novella speranza
per
gli innocenti animi
nell'avvenire
arride e avanza.
-Renzo Mazzetti-
(Antologia
CHORUS, IBISKOS editrice Risolo Empoli, aprile 2010)
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