MINIGONNA
venerdì, 26 febbraio 2010
MINIGONNA
Non so spiegare come e perché stiamo preparando la valigia;
sopra il letto ci sono ordinati: una pila di calzini, delle mutande, qualche
maglietta, tre pantaloni lunghi e due corti, una scatola di fazzoletti di
stoffa, una busta di plastica con dentro un tubo di dentifricio-spazzolino da
denti-saponetta in porta saponetta-pettine per capelli. Loro, i parenti, esuli,
fuggiti dal fascismo, erano venuti diverse volte portando figlie e nipoti:
avevamo trascorso insieme pochi giorni felici, riempiendo la tavola totalmente
allungata, facendo folto gruppo nelle passeggiate per San Romano e nelle gite a
Pisa, Vinci, San Miniato e Siena. Ricordati, dice la mamma, che qui c’è la
Carta d’Identità con la mia firma per il consenso, il biglietto,
ottomilacinquecento lire. Tienile di conto! Metto tutto nella tasca esterna
della valigia, i soldi nella tasca destra di dietro dei pantaloni; la valigia
pesa il giusto, meno male. Seduto sui sedili di legno, sballottato dalle
cadenze ritmate dei binari, vedo il ruotare del paesaggio: i campi verdi,
gialli, grigi, marroni; le buie gallerie; gli squarci di cielo; l’apparire
improvviso dell’azzurro-blu-verde mare. Poi, ad ogni fermata: risa gioiose,
belle gambe nude; carni lisce e rosee, sode, tornite, splendide cosce, capelli
biondi, occhi celesti-curiosi; dal finestrino guardo le ragazzine in pantaloni
cortissimi e lunghi che guidano il motorino portando dietro, strettamente
abbracciato, un ragazzino! Ero in Francia.
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