ANALFABETISMO
domenica, 21 febbraio 2010
ANALFABETISMO
Perché in Italia ci sono ancora tanti analfabeti? Perché in
Italia c’è troppa gente che limita la propria vita al campanile, alla famiglia.
Non è sentito il bisogno dell’apprendimento della lingua italiana, perché per
la vita comunale e familiare basta il dialetto; perché la vita di relazione si
esaurisce tutta quanta nella conversazione in dialetto. L’alfabetismo non è un
bisogno, e perciò diventa un supplizio, un’imposizione di prepotenti. Per farlo
diventare bisogno occorrerebbe che la vita generale fosse più fervida, che essa
investisse un numero sempre maggiore di cittadini, e così facesse nascere
autonomamente il senso del bisogno, della necessità dell’alfabeto e della
lingua. Ha più giovato all’alfabetismo la propaganda socialista di tutte le
leggi sull’insegnamento obbligatorio. La legge è un’imposizione: può importi di
frequentare la scuola, non può obbligarti a imparare, e, quando abbia imparato
a [ non ] dimenticare. La propaganda socialista desta subito il sentimento vivo
del non essere solo individui di una piccola cerchia d’interessi immediati ( il
Comune e la famiglia ), ma i cittadini di un mondo più vasto, con gli altri
cittadini del quale bisogna scambiare idee, speranze, dolori. La cultura,
l’alfabeto ha così acquistato uno scopo, e fino a quando questo scopo vive
nelle coscienze, l’amore del sapere si affermerà imperioso. E’ verità
sacrosanta, di cui i socialisti possono andar fieri: l’analfabetismo sparirà
completamente, solo quando il socialismo l’avrà fatto sparire, perché il
socialismo è l’unico ideale che può fare diventare cittadini, nel senso
migliore e totale della parola, tutti gli italiani che ora vivono solo dei loro
piccoli interessi personali, uomini nati solo a consumar vivande.
La Città futura, Torino, 11 febbraio 1917.
JJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJJ
“ … sognare …”
W. Shakespeare
per Elsa Morante
I
Fuori da te
in una notte di cani
che abbaiano
mi arrampico.
Siedi come una sorella accanto
a me fratello più giovane
carissima tra le irrequiete
notti senza sonno.
Sveglia
ti accorgi di quanto
io tengo a te
dove termina l’affetto
e comincia l’amore
a soffocare il respiro?
Mi dispiace per il dolore
il disfare tutto
il nostro preoccupato occuparsi
l’un dell’altro;
il tuo sogno è l’innocenza;
il mio per esperienza
si contenta della ripetizione
( scene mai esistite di competizione
preoccupano me solo
e il mio tesoro di giovinezza che continua a invecchiare ).
II
( un globo con una lancia
lanciata a pungerne la scorza )
Non siamo guariti soltanto dalla fede
Prendiamo medicine
cerchiamo di lenire
le nostre malattie
tentate da ricordi del passato
glorie si rivelano:
sono pregno sono nudo bellissimo
sono solo
sono drogato sono una piaga sociale
sono un uomo sposato
sono minacciato da delinquenti di strada
che flettono i loro muscoli
nelle finestre aperte.
Portato a pensieri di me stesso che pensano te
e la musica che smorza ogni memoria a
distanti ombre di fiori
fiori di cui non conosco
i nomi
fiori che crescono nei campi
i campi dove vagano i poeti
nelle loro innocenti celebrazioni.
(Io compro i miei fiori il martedì
al locale mercato dei fiori
un edificio di cemento che non conduce
a innocenti celebrazioni ).
Invento condizioni perfette
per esperienze ideali.
Un lungo viaggio oceanico
non sembra mai bastare come soluzione.
Quest’estate non sei andata al mare neppure una volta
e hai lavorato alle tue poesie
come se fossero un surrogato dell’amore
e
i dorati ragazzi dai grandi occhi delle isole greche
che tu non hai mai detto di non avere mai sognato
aspettano
baci non baciati
sulle spiaggie in notti stellate e selvagge:
cantano
li senti, mentre scrivi di Edipo
e
della comunione col Dio?
III
Passa
non passa
malgrado tutto
passa
l’agonia di quel che ha perso il cuore
la morte è negata
ogni pensiero
ogni sogno meno torturato
bassa marea in un mare pulito
non si lascia
dietro residui
solo una stanza vuota
da cui siamo allontanati
non più accecati
né soffocando
in una atmosfera di rimpianto superato.
IV
Gli dei s’ intromettono nel sonno degli eroi:
all’alba le loro muscolose schiene sudate
sono rigide per i tormenti delle visite
e riferiscono visioni agli amanti in esametri dattilici.
Ma io a te, cosa posso dire così,
cercando di tenere il ritmo
che tu, trasparente e dolorosa, sei sempre bella
nonostante la tua indifferenza
che questo è una poesia d’amore di un intelletto
ad un altro -
è questo il momento di inserire citazioni
dovrei forse fare un discorso
no soltanto
voglio ballare il valzer con te
vent’ anni fa quando
portavi le gonne lunghe e fiori nei capelli
prima che tu patissi un’ultima amara frustrazione d’amore
prima che io nascessi
in un’ altra lingua
una lingua che non si parla più
ma talvolta interrogato
in un rapido gesto degli occhi
impensato e
quasi inatteso
quando tu dimentichi chi sei
e io chi sono io
e diventiamo soltanto figure
nel sogno di qualcun altro
intimamente anonimi
fino a che passa la notte.
-Peter Hartman-
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sabato, 20 febbraio 2010
POESIA
Non vi è ancora l’attenzione che meriterebbe la poesia anche
se il numero dei poeti o degli aspiranti poeti è aumentato; esistono
pubblicazioni importanti e la lettura poetica è cresciuta insieme alla sua
attualità; si riscontrano espressioni che s’innalzano al di sopra di una media
dignitosa ed interessante e alcuni componimenti stupiscono ed entusiasmano;
scaturiti da pulsioni giovanili, fanno sperare in probabili opere immortali e/o
conosciute. Fondamentale è la non omologazione, l’originalità della ricerca,
l’espressione spirituale. Con i mezzi moderni, il risalto nelle pagine più
cliccate, un rettangolino più evidente, una civetta che indichi l’accesso alla
lettura ed alla scrittura, allo scambio, alla ricerca e alle sensazioni, una
promozione per facilitare il compito essenziale di ricreare e infondere nel
linguaggio anticorpi contro la volgarità alienante.
YYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYYY
FRA BARTOLOME’ DE LAS CASAS
Uno pensa, tornando a casa stanco, di notte
nella nebbia fredda di maggio, uscito
dal sindacato (nella smozzicata
lotta quotidiana, nella stagione
piovosa che goccia dalle gronde, nel sordo
battito della costante sofferenza)
a questa resurrezione travestita,
astuta, degradata,
di incantatori e di catene,
e quando ti sale l’angoscia
fino a infilarsi con te nella porta,
sorge una luce antica, dolce e dura
come un metallo, come un astro sepolto.
Padre Bartolomé, grazie per questo
regalo della cruda mezzanotte,
grazie perché il tuo filo fu invincibile:
poteva morire schiacciato, morso
dal cane con le fauci piene d’ira,
poteva restare tra la cenere
della casa incendiata,
poteva tagliarlo la fredda lama
dell’assassino innumerevole
o l’odio amministrato tra i sorrisi
(il tradimento del nuovo crociato),
la menzogna scagliata alla finestra.
Poteva morire il filo cristallino,
l’irriducibile trasparenza
trasformata in azione, in combattivo
ed erto acciaio di cascata.
Poche vite dà l’uomo come la tua, poche
ombre ha l’albero come la tua, a lei tutte
le vive braci del continente si rivolgono,
tutte le abbattute condizioni, la ferita
del mutilato, i villaggi
annientati, alla tua ombra tutto
rinasce, e dal confine
dell’agonia tu fondi la speranza.
Fu una fortuna, padre, per l’uomo e la sua specie
che tu arrivassi nella piantagione,
che tu mordessi i neri cereali
del delitto, e che bevessi
ogni giorno alla coppa della collera.
Chi ti mise, nudo mortale,
tra i denti della furia?
Come fecero a spuntare altri occhi,
di altro metallo, quando tu nascevi?
Come si mescolano i lieviti
nell’oscura farina umana
perché il tuo grano immutabile
si impastasse nel pane del mondo?
Eri realtà in mezzo a fantasmi
incattiviti, eri
l’eternità della tenerezza
sulla raffica del castigo.
Di battaglia in battaglia la tua speranza
si trasformò in precisi utensili:
la solitaria lotta mise i rami,
il pianto inutile si unì in partito.
Non servì la pietà. Quando mostravi
le tue colonne, la tua nave protettrice,
la benedicente mano, la tua veste,
il nemico calpestava le lacrime
e sgretolava il colore del giglio.
Non servì la pietà alta e vuota
come una cattedrale abbandonata.
Fu la tua invitta fermezza, l’attiva
resistenza, il cuore armato.
Fu la ragione la tua materia titanica.
Fu il fiore organizzato la tua struttura.
Sussiegosi iniziarono a guardarti
(dalla loro altezza) i conquistadores,
appoggiandosi come ombre di pietra
ai loro spadoni, opprimendo
coi loro sarcastici sputi
le terre della tua iniziativa,
dicendo: “ Ecco qua l’agitatore “,
mentendo: “ L’han pagato
gli stranieri “,
“ Non ha patria “, “ Tradisce “,
ma la tua predica non era
fragile attimo, fugace
modello, orologio di viandante.
Il tuo legno era bosco combattuto,
ferro nel suo giacimento, nascosto
a ogni luce sulla terra fiorita,
e addirittura più profondo:
nell’unità del tempo, nel percorso
della vita, la tua mano protesa
era stella zodiacale, segno del popolo.
Padre, entra oggi con me in questa casa.
Ti mostrerò le lettere, il supplizio
della mia gente, del perseguitato.
Ti mostrerò le sofferenze antiche.
E per non cadere, per resistere
sulla terra, e continuare a lottare,
lascia nel mio cuore il vino errante
e l’implacabile pane della tua dolcezza.
-PABLO NERUDA-
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